Carlotta Natoli: «Il conflitto può essere positivo se aiuta la coppia a migliorarsi»
L'attrice in tournée nell’isola con L’anatra all’arancia
È uno dei classici della commedia che al cinema ha visto Ugo Tognazzi in coppia con Monica Vitti, mentre a teatro negli anni si sono avvicendati Alberto Lionello e Valeria Valeri, Marco Columbro e Barbara De Rossi, Luca Barbareschi e Chiara Noschese. Ora nella versione diretta da Claudio Greg Gregori “L’anatra all’arancia” vede Emilio Solfrizzi affiancato da Carlotta Natoli, figlia d’arte - il padre Piero, attore e regista, indimenticato protagonista di “Compagni di scuola”, “Ferie d’agosto” e “L’ultimo bacio” -, attrice che spazia tra cinema e tv. Nel cast della pièce, che targata Cedac sarà oggi ad Alghero, domani a Olbia, sabato a Oristano e domenica a Carbonia, pure Ruben Rigillo, Beatrice Schiaffino e Antonella Piccolo.
Carlotta, chi sono Gilberto e Lisa?
«È una commedia di fine anni Cinquanta che è stata modernizzata. Gilberto è un istrione che lavora in tv, un vincente, un campione di tennis, scacchi, simpatia. Lisa ha vissuto, innamorata, all’ombra di queste vittorie del marito. Pur amandolo si sente una presenza scontata. La pièce si apre proprio con un gioco di scacchi. Lei pensa di avere fatto la mossa vincente - un tradimento - ma in realtà non lo è. Perché nelle 48 ore successive lui metterà in atto una strategia di scacchi ben precisa in cui tutti i pezzi cadranno uno a uno e alla fine si ritroverà ancora una volta vittorioso. Anche se in questa rivisitazione di Greg, a mio avviso, forse sono tutti e due vittoriosi...».
Qual è la forza di questa commedia che dura nel tempo?
«Come tutti i grandi classici tira fuori temi universali, legati all’amore, ai difetti, al tradimento, alla frustrazione, allo squallore di alcuni aspetti delle nostre personalità. È un meccanismo a orologeria in cui si finisce per ridere dei nostri difetti, della nostra pochezza di esseri umani. Mi piacerebbe rimanesse nel pubblico una riflessione su cosa è l’amore non agli albori ma dopo venti anni di matrimonio. Alla fine si scopre che proprio passare attraverso questi momenti di crisi può essere utile».
Al cinema in “Quattordici giorni” di Ivan Cotroneo e con Thomas Trabacchi, suo marito nella realtà, aveva già affrontato la crisi di coppia.
«In entrambi i casi viene fuori che dobbiamo dare un altro tipo di ascolto al conflitto. Noi spesso cerchiamo di evitarlo, ma può essere anche un fattore di crescita. Se lo si sa affrontare nel conflitto c’è anche un valore».
Ha visto le precedenti messe in scena della commedia di W. D. Home e M. G. Sauvajon?
«A parte il film, che era molto diverso dal testo, ho visto quella di Barbareschi. Lui e la Noschese erano molto bravi, ma era una rivisitazione con tipizzazioni molto estreme. Questa di Greg è più fedele al testo».
Com’è Greg regista?
«È una persona molto profonda, sensibile e dolce che ha sempre cercato di ascoltare le entità che gli si palesavano davanti. Non è un regista che impone, è uno che accoglie e cerca di indirizzare le varie caratteristiche per fare sì che si crei sinergia».
E il suo affiatamento sul palco con Emilio Solfrizzi? Avete condiviso “Tutti pazzi per amore” ma senza mai fare coppia…
«Di fatto non avevamo mai lavorato insieme. In questi anni ho ricevuto molte offerte teatrali e ho sempre detto no. A Emilio ho detto subito sì, perché da lui ho solo da imparare».
Ai David sui cinque registi esordienti in nomination quattro sono attori: Paola Cortellesi, Giuseppe Fiorello, Micaela Ramazzotti e Michele Riondino. Ha mai pensato di passare dietro la macchina da presa?
«Mi piacerebbe, credo sia naturale quando stai tanto davanti avere voglia di passare dietro. Ma forse io provengo da una generazione troppo rispettosa nei confronti di quello che faceva mio padre. E soprattutto bisogna avere una storia da raccontare. Non mi metto a fare un film solo per passare dall’altra parte. Meglio, ho messo le mie energie per creare una sperimentazione per la scuola. Oggi più che mai dobbiamo lottare per quello che non funziona nella nostra società e cercare di non arrenderci allo stato delle cose. Credo che gli artisti possano aiutarci a tenere alta la speranza».