La Nuova Sardegna

L’intervista

Antonio Albanese: «Essere onesti è un vantaggio per noi stessi: ci fa stare meglio»

di Alessandro Pirina
Antonio Albanese: «Essere onesti è un vantaggio per noi stessi: ci fa stare meglio»

Sabato 24 agosto l’attore e regista milanese protagonista a “Pensieri e parole”: al festival sarà anche proiettato il suo film “Cento domeniche”

19 agosto 2024
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Il cinema civile di Antonio Albanese sbarca all’Asinara. E lo fa con quella delicatezza con cui l’attore e regista milanese, uno dei simboli della riscossa del cinema italiano, è solito raccontare le storie più crudeli, più ingiuste, più disoneste, qual è appunto quella di “Cento domeniche”: Antonio Riva è un operaio in prepensionamento alle prese con il matrimonio della figlia che scopre di essere stato ingannato e di avere perso i risparmi di una vita.

Il film verrà proiettato sabato alle 21.30 alla cinearena di Fornelli, nella prima serata della 19esima edizione del festival “Pensieri e Parole: libri e film all’Asinara”. Un’occasione in cui ad Albanese sarà anche consegnato il premio Isole del cinema.

Antonio, che effetto fa un riconoscimento da un festival che si occupa insieme di cinema, musica e letteratura?

«Innanzitutto è un premio che ricevo con enorme piacere. “Cento domeniche” è un film importante che amo molto. Sono davvero contento per questo riconoscimento, perché è stato molto faticoso. Un film che in un modo o nell’altro tratta di quella onestà e quel buonsenso che questo festival insegue da sempre. In verità, io ho sempre lavorato con i miei personaggi per raccontare al pubblico - e se possibile ai più giovani - determinate situazioni. “Cento domeniche” è una storia malvagia, orribile e io ho cercato di descrivere con molta attenzione e concentrazione le conseguenze di questa brutalità. Per farlo ho dovuto lavorare parecchio, insieme a giornalisti, amici attori, collaboratori. Ecco perché accolgo questo premio con gioia vera».

Possiamo definire “Cento domeniche” un film su un’Italia in via di estinzione che si scontra con le brutture della società di oggi?

«Io di natura sono un ottimista. Da un po’ di decenni si cerca sempre di esaltare la brutta notizia. Lo scorso, mi sa, è stato l’anno con meno suicidi di questo Paese, ma sembrava il contrario. Il mio lavoro mi dà la possibilità di focalizzare l’attenzione su determinate cose e io le voglio elaborare. Perché lo faccio? Perché queste cose non devono più ripetersi. Ma perché questo accada devi vedere quello che succede. Io arrivo dal mondo delle vittime, sono figlio di operaio e considero Antonio, il mio personaggio, uno di quelli che faticano. Di quelli che non saranno mai primi, ma in realtà sono primi, perché sono circa 9 milioni. Io dico che l’ingiustizia non deve arrivare a nessuno, ma quando arriva a una di queste persone mi tocca da vicino».

Antonio è un personaggio che ha fiducia nel prossimo. Nella società di oggi la troppa fiducia è considerata quasi un difetto.

«Essere onesti fa stare meglio. L’onestà richiama onestà, ti circondi di persone più serene, più garbate, più attente alla curiosità e alle cose belle. L’onestà non è solo un sentito dire ma è anche un vantaggio. Non solo per gli altri ma anche per te stesso. E questo ho insegnato ai miei figli».

È mai stato all’Asinara?

«Sono un amante della Sardegna, ho molti amici, ma all’Asinara non ho mai messo piede. Venire a questo festival è un motivo in più per vedere un’altra bellezza. Un doppio premio».

Il direttore artistico Sante Maurizi lancia un appello alla presidente Todde per restituire alla comunità il supercarcere, la foresteria e il bunker di Riina. Lo fa suo?

«Se il cambio d’uso è rivolto ai più giovani, a iniziative culturali, alla possibilità di sfruttare lo spazio per incontri - e questa mi pare sia l’intenzione del festival - allora certo che sono d’accordo. Serve anche per proteggere le bellezze del territorio. Quando la natura si mantiene bella fa da esempio, perché la natura mantiene belle anche le altre cose. Amo molto quella storia del pastore (Ovidio Marras, ndr) che disse no al cemento. Se il mondo ci invidia la Sardegna è perché rimane tale. I luoghi così meravigliosi vanno protetti».

Lei alterna regia e solo interpretazione. Quando si diverte di più?

«Una delle fasi più belle del mio lavoro è il teatro. Io arrivo da lì. Poi nel cinema amo quel momento meraviglioso che è la scrittura: ora per esempio sto iniziando a elaborare un film. Un’altra cosa bella è l’interpretazione, ma considero più interessante il creare situazioni, sviluppando storie. Tra le cose più interessanti c’è poi la creazione di maschere, che per quanto mi riguarda sono rimaste nel tempo, da Epifanio in poi. Questa è una grande soddisfazione professionale. Poi c’è anche quello che ho cercato di fare, per esempio nella serie di Rai 3 “I topi”, ovvero provare a raccontare alle nuove generazioni cosa sono la mafia, l’ingiustizia. Alla fine credo che una cosa abbia bisogno dell’altra, ma va saputa fare, va desiderata e occorre lavorarci sopra, e per molto. Insomma, recitare, dirigere, scrivere, elaborare le mie maschere sono tutte cose che amo fare».

Ha anche firmato un allestimento di un’opera lirica a Cagliari. Che esperienza è stata?

«Sono rimasto molto contento, perché al di là del fatto che si trattava di un’opera poco conosciuta, “Gloria” di Cilea, mi sono trovato molto bene a Cagliari: le passeggiate in spiaggia, nei quartieri più vecchi. E poi il gruppo di lavoro, nonostante le mille complicazioni legate al Covid. Ma quel debutto in sala, il primo con il pubblico dopo la pandemia, fu molto emozionante».

Lei e Paola Cortellesi siete il simbolo di una rinascita del cinema italiano.

«Io e Paola siamo simili in tante cose. Ci siamo sempre trovati bene, abbiamo fatto tre film insieme. E anche la nostra esperienza quasi simile ci ha portato a sviluppare un percorso abbastanza affine. Entrambi mettiamo un grande impegno in questo lavoro, e poi abbiamo anche l’esperienza».

Ma qual è lo stato di salute del cinema italiano?

«Il cinema è come il teatro, la tv. Ha delle onde, come la risacca. Ci sono momenti favorevoli, altri meno. Ci storie che vanno meglio, altre meno. Questo è stato un buon anno, anche lo scorso. Ora aspettiamo giovani promesse, produttori coraggiosi che credono in nuovi registi. Il cinema va così da sempre».

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