“Tragùdia” di Alessandro Serra: in scena la sacralità della tragedia di Edipo
Dopo la prima regionale a Sassari, lo spettacolo è in scena al Teatro Massimo di Cagliari fino al 26 gennaio
È avvolta nel buio e odora di incenso la tragedia di Alessandro Serra. Dove il protagonista non è la parola ma il suono. Quello di una lingua sconosciuta, un grecanico usato da pochissimi abitanti della fu Magna Grecia e dell’attuale Puglia e Calabria. Il suono dei cori, che non solo accompagnano ma costruiscono la ritualità della messa in scena di “Tragùdia – Il canto di Edipo”. Spettacolo con regia, scene, luci, suoni e costumi a cura dell'autore cagliaritano. La riscrittura dell'Edipo di Sofocle ha debuttato nell'isola lunedì sera al Teatro Comunale di Sassari con tanti applausi e da oggi a domenica 26 è in cartellone al Teatro Massimo di Cagliari.
Lo storico del teatro Nicola Fano nella sua recente pubblicazione “Non è il caso. La vita secondo Edipo” (Treccani libri) suggerisce che, se letta secondo l’antinomia destino-volontà, la vita di Edipo non è che uno specchio della vita di ognuno di noi. Alessandro Serra, che nelle note di sala parla di una tragedia che oggi è chiamata a muoversi tra le macerie, propone allora un Edipo che dalle macerie si rialza. Dell’eroe-antieroe tragico per eccellenza vediamo le gesta: la sfinge sconfitta e la corona di Tebe sulla sua testa. Ma vediamo soprattutto l’Edipo sopraffatto dagli eventi che gli piovono addosso, e quindi la tragica scoperta di aver ucciso il padre Laio senza saperlo e di aver procreato insieme a Giocasta che in realtà era sua madre.
Edipo brancola nel buio, quel buio che domina la resa scenica di “Tragùdia”, fino a quando anziano e vicino alla morte è spettatore di una guerra fratricida tra i suoi figli. E fino a farsi esso stesso profeta di speranza. La parola «amore», panacea di tutti i mali, chiude lo spettacolo e campeggia nello schermo dei soprattitoli. La scelta linguistica è una scommessa vinta da Serra, il grecanico restituisce sentori di antica Grecia (traduzione di Salvino Nucera). L’obiettivo non era raccontare una trama ma raccontare la ritualità ancora possibile di un testo tragico.
La riscrittura non si allontana da Sofocle, anzi se la prima parte che pesca da “Edipo Re” accavalla salti temporali con trovate visive suggestive e di effetto, la parte che dà voce a “Edipo a Colono” avrebbe avuto bisogno di qualche taglio al copione. Risulta troppo didascalico. Ma la riverenza dell’autore di fronte alle pagine più solenni della vita di Edipo, in fondo, è comprensibile. “Tragùdia” è il manifesto del teatro di Serra che non è parola ma è suono e movimento. La tavolozza di colori è ridotta all’osso, il buio diventa il vero elemento dominante.
Maestro dei giochi di luci e ombre, i passaggi più pregevoli qui sono per mostrare la morte di Giocasta e l’accecamento del figlio-marito pentito, e il monologo di Polinice coperto di terra rossa. Nota al merito a Jared McNeill, che dà a Edipo intensità e fascino magnetico. L’attore aveva già convinto in “La Tempesta” di Serra nei panni di Calibano. “Tragùdia” fa eco a “Macbettu”, opera celebre di Serra, ma è meno d’impatto. Piuttosto, è un bene che in sala al Comunale ci fossero tanti giovani e studenti: perché questa lettura sacra della tragedia è una proposta che tiene in vita il fuoco dei miti.