Maurizio Lombardi: «Resto attore ma consiglio a chiunque voglia fare questo lavoro di cimentarsi nella regia»
Al Figari di Golfo Aranci l’interprete fiorentino ha presentato il suo primo corto. Un’occasione per parlare anche dei suoi grandi successi, da “The New Pope” a “Ripley”, e dei nuovi progetti: è nel cast della serie kolossal “Blade runner 2099”
Dal manager di Publitalia che muore nelle acque della Sardegna al papà di Gianna Nannini, dal cardinale gay che affianca Jude Law nel suo papato all’ispettore Pietro Ravini che va a caccia di Ripley, fino al fascista Emilio De Bono fin dall’inizio della sua ascesa al potere al fianco di M - Il figlio del secolo. Da qualche tempo Maurizio Lombardi è una costante di prodotti di successo e qualità. Cinema o tv non fa differenza, l’attore fiorentino è super richiesto. E in mezzo a tanto lavoro da interprete è anche riuscito a ritagliarsi il suo debutto alla regia con il cortometraggio “Marcello”, in concorso al Figari International Short Film Fest di Golfo Aranci.
Perché il passaggio dietro la macchina da presa?
«È stato naturale e necessario. Con il senno di poi consiglio a tutti i ragazzi che vogliono fare gli attori di passare il prima possibile dietro la macchina da presa. Non conta che poi vogliano fare i registi, ma è capire cosa significa dirigere è quasi una esigenza».
Com’è stato cimentarsi nei panni di regista?
«Di storie ne ho scritto tante, soprattutto per il teatro: sono autore di me stesso. Se sei aperto come penso di esserlo io al lavoro, ed è un lavoro a 360 gradi che comprende non solo regia, scrittura e recitazione ma anche scenografia, pittura, disegno, musica, allora io credo che la regia ti permetta di fare convogliare tutte le arti verso una direzione che fa capo al tuo gusto».
Dopo il corto ci sarà il film?
«Io voglio rimanere attore puro al 100 per cento, ma ho bisogno di storie che mi contengano. Per questo devo trovare chi scriva per me. Ultimamente ho trovato delle belle storie, ma mai hanno raggiunto il mio volere. E se non te le scrivono gli altri devi cercartele...».
Al Figari di Golfo Aranci è stato quasi un ritorno a casa...
«Da giovanissimo fui chiamato da Stefano Casamenti e il fratello a fare l’animatore a Capo Ceraso. Mi trovai in un paradiso con questi due matti. Mettemmo su spettacoli di livello altissimo che non ho più fatto».
In 1994 è protagonista dell’episodio sul Berlusconi sardo.
«L’episodio inizia con me che mi tuffo, muoio e galleggio nell’acqua turchese della Costa Smeralda. Per fare quel personaggio ho dovuto studiare e ho capito che ai tempi la Sardegna era una sorta di laboratorio in cui questi cervelli si riunivano in vacanza e ordivano le trame delle loro malefatte. Erano degli angeli in paradiso».
La sua carriera è iniziata con “Una notte per decidere” con Sean Penn, Kristin Scott Thomas, Anne Bancroft e Derek Jacobi: Hollywood era nel destino.
«Dovevo andare verso il treno e fare finta di prenderlo ma passai davanti ad Anne Bancroft e Derek Jacobi mentre dicevano la battuta: presi il mio primo cazziatone da un regista».
Come è stato lavorare con Paolo Sorrentino?
«Paolo è uno di quei pochi registi che hanno preso quel profumo di registi di altre nazioni che arrivano a Hollywood. È un regista italiano, ma anche no».
Ripley è stata la sua consacrazione.
«È stato il mio lavoro più importante. Io ho sempre amato Steven Zaillian, sceneggiatore di Schindler’s List e di Risvegli, nonché della serie The Night Of con John Turturro. Ricordo che pensai: quanto sarebbe bello lavorare con lui. Sei mesi dopo feci l’audizione che poi riuscii a vincere con grande fatica sia per il ruolo importante che per i contendenti. Questo è stato uno di quei lavori che contengono bene quello che sono: è una serie che mi ha vestito perfettamente, come il ruolo del cardinale per Sorrentino».
C’è differenza sul set tra italiani e americani?
«In Italia il lavoro delle maestranze è di altissimo livello, ma quando lavori con registi americani o inglesi c’è quella sorta di camera stagna tra un reparto e l’altro; è tutto un please, thank you. L’italiano è più diretto. Ma la qualità ormai è totale, il livello si è alzato tantissimo».
Un tempo era più difficile che un attore italiano venisse scritturato dagli stranieri: cosa è cambiato?
«Le piattaforme hanno permesso agli attori di mettersi in vetrina. Dopo Ripley mi sono arrivati messaggi dalla Corea. I nostri giovani hanno capito che con le piattaforme possono subito accedere al lavoro e inoltre parlano tutti un inglese perfetto. Tutto questo accade malgrado il nostro Paese. Ci siamo trovati in America a un festival io per Ripley, Cristiana Dell’Anna per Cabrini e Benedetta Porcaroli per Immaculate. In Italia neanche un trafiletto. Non è una critica, ma una constatazione».
Dove la vedremo nei prossimi mesi?
«Sto finendo un film di Bertrand Mandico con Marion Cotillard: c’è anche una meravigliosa Ornella Muti. Poi su Amazon uscirà il kolossal Blade runner 2099 con Hunter Schafer e Michelle Yeoh, che ho girato l’anno scorso».