Joan Thiele fuori dagli schemi: «Il mio mondo tra Puccini e Battisti»
L’artista italo-colombiana si esibirà a Sassari all’interno del festival Abbabula
Dopo la partecipazione a Sanremo con Eco e l’uscita del suo album Joanita, Joan Thiele torna in Sardegna per una tappa molto attesa. Il 19 luglio sarà all’Abbabula Festival di Sassari in piazza Moretti, portando in scena un live che promette intensità, ricerca sonora e immaginazione cinematografica. L’evento è organizzato da Le Ragazze Terribili in collaborazione con Shining Production.
«Sono felice, è un bel tour, e con una band pazzesca», racconta. L’isola per lei non è un posto qualsiasi: «Da ragazzina andavo in vacanza a Carloforte, a Cagliari ho trovato un pubblico molto giovane, universitario: c’era una bella energia».
In che momento si trova artisticamente?
«Dal 2020 ho iniziato un lavoro molto profondo sulla produzione e sul suono. È una parte della musica che spesso viene sottovalutata, ma per me è diventata centrale. Volevo trovare il mio linguaggio, una sintesi tra parole e sensazioni. Oggi penso di avere un approccio cantautorale “onomatopeico”, quasi fisico, che parte da un’emozione e trova il suono che la rappresenta».
È passata dall’inglese all’italiano. Che cosa ha significato per lei?
«In inglese mi sentivo immatura, anche quando le canzoni funzionavano. Era come se non riuscissi mai a dire le cose fino in fondo, come se
qualcosa mi sfuggisse sempre. In italiano ho trovato una mia voce, meno emulativa, più sincera»..Parla spesso del legame tra musica e immagini. Che ruolo ha il cinema per lei?
«Fortissimo. Scrivere, per me, è come immaginare delle piccole sceneggiature. Mi capita di vedere un quadro, un paesaggio o anche solo una scena di strada e chiedermi: come la musicherei? La suggestione visiva è sempre stata un mio innesco creativo. In questo momento sto riscoprendo anche la musica classica, Puccini mi fa impazzire».
Tre artisti italiani che l’ hanno influenzata?
«Senza dubbio Battisti con Anima latina, poi Mina, ma anche i dischi di Ornella Vanoni. E poi i grandi compositori di musica da film come Ennio Morricone, Piero Umiliani… tutta quella scuola italiana di musica da film mi è entrata sotto pelle».
Che ricordi ha di Sanremo?
«È stato un frullatore divertente, una specie di Squid Game. È vero che scopri tutto al Tg, come dicono: non dormi, non mangi, sei sempre in tensione. Per me è stato come scalare una montagna, una prova di resistenza mentale. Ma ci tenevo molto a Eco, era una canzone importante a cui tengo particolarmente» .
Ha detto che il viaggio per lei è una dipendenza. In che senso?
«Io sono sempre in giro. Viaggiare è diventata la mia dimensione naturale. È un modo per restare aperta, per non incagliarmi e farmi rimanere attaccata alla realtà. È come se mi servisse per stare viva».
A 16 anni suonava per strada come busker, ora che ha raggiunto i grandi palchi ripensa mai a quel momento?
«Sì, penso a quando suonavo davanti a cinque persone e dovevo conquistarle una per una. Mi ricorda qualcosa di importante: quell’urgenza, quell’approccio istintivo. Lo facevo per necessità. E in fondo è ancora così: la differenza è che cresci, cambiano le dinamiche, ma devi sempre ricordarti di quel momento».