Flavio Soriga: «Ora mi interessa soltanto scrivere»
L’autore in libreria con “Sardinia noir”: «La tv? Non sento più il bisogno di affermarmi»
Flavio Soriga fa grandi pause tra un concetto e l’altro, poi ci ritorna, lo leviga, poi sembra soddisfatto e invece si sincera: «Mi sono spiegato?». Se ci fosse uno scrittore su cui basare il dualismo tra persona e personaggio, sarebbe lui. Penna e volto noto della scena letteraria isolana, Soriga nell’ultimo anno ha portato in giro la storia del “Signor salsiccia” («fare le presentazioni nelle scuole mi ha ridato entusiasmo») e ora uno spettacolo sulla Sardegna nella storia. Ha appena pubblicato il trittico “Sardinia noir” (Bompiani). E parla dell’essere scrittore mentre a pochi metri Paolo Giordano, siamo al centro di Santa Teresa Gallura, presenta il proprio libro al festival “Ligghjendi”. Festival che Soriga dirige.
Oltre ai concerti, questa è la stagione delle rassegne letterarie. Mi dà un punto di vista da addetto ai lavori?
«Credo che sentire uno scrittore che parla resti una cosa interessante. Ma incontri e libri sono due cose diverse. Io temo che persino Calvino, avesse fatto sessanta presentazioni di fila, a un certo punto si sarebbe ripetuto. Ciò non toglie che ogni tanto un incontro può essere magico, penso a Piero Dorfles, quest’inverno a Santa Teresa».
“Sardinia noir” comprende due romanzi già usciti, “Neropioggia” e “Metropolis”, e il nuovo “Kalashnikov”. Si parla di un assalto a un portavalori.
«In “Kalashnikov” c’è un personaggio che raramente viene raccontato: l’autista del furgone portavalori. Un lavoraccio a fronte di uno stipendio basso, e sei colui che viene visto con sospetto dopo ogni rapina. Sono molto contento di essermi rimesso a lavorare con Martino Crissanti, carabiniere inventato vent’anni fa, perché mi sono rimesso a raccontare la stretta attualità».
L’hanno ispirata le recenti rapine nell’isola e in Toscana?
«Mi stupisco che non esca un romanzo per ogni assalto. Comunque vivevo a Sassari nel primo dei due assalti alla Mondialpol, anni fa, ci fu grande stupore. Se fosse successo, che so, a Ladispoli, ci avrebbero fatto subito una serie. Detto questo, è difficile mettere in scena i protagonisti di questa nuova criminalità sarda perché sono persone del nostro tempo. I banditi erano dentro una società arcaica».
Perché raccontare questi fatti?
«È normale che scrittori, registi, artisti, raccontino gli angoli scuri della loro terra, e che a loro venga detto: infanghi la tua terra. Non è così, questa non è solo l’isola dei banditi o di “Kalashnikov”. Dal 2000 in poi c’è un gruppo di scrittori e scrittrici che tenta di dire di continuo che la Sardegna è tante cose. Arcaismo e modernità».
Avverte una responsabilità quando nei suoi libri mette la Sardegna?
«No, ora non devo convincere nessuno, racconto storie e metto dentro i miei demoni. Scrittori e scrittrici devono illuminare angoli bui, scavare nelle schifezze con cui ognuno fa i conti. Se poi sono sardi, capiterà di ambientarle in Sardegna. Penso che anche dei grandi come Deledda o Atzeni avessero questa idea».
Lasciare la tv è stata una scelta?
«Ho avuto la fortuna di lavorare con persone stupende e che stimo, più di tutti Giorgio Zanchini e Geppi Cucciari. Naturalmente se il programma “Per un pugno di libri”, per cui ho fatto l’autore, non fosse stato chiuso, sarei felicissimo e ci lavorerei, ma in generale a questo punto della mia vita voglio dedicare quanto più tempo possibile a scrivere libri. Per lavorare con costanza in tv mi sarebbe servito un bisogno di affermazione che non avevo più. Dico una cosa...»
Prego.
«Appena Meloni è diventata premier, sono stato chiamato in un noto talk politico come opinionista, ma non mi trovo a mio agio. Ho le mie idee politiche però faccio un’altra cosa. Poi ho bisogno di ritirarmi, avere del tempo per una risposta, sono in imbarazzo anche ora davanti a te, che devo darti una risposta subito...».