La Nuova Sardegna

Confessioni d’estate

Claudio Cecchetto: «Gerry, Lorenzo, Ama: una vita da talent scout»

di Clarissa Domenicucci
Claudio Cecchetto: «Gerry, Lorenzo, Ama: una vita da talent scout»

Il produttore si racconta tra tv, radio e le sue scoperte: «Bongiorno mi ha presentato a Berlusconi e lì è partito tutto»

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Iniziamo a raccontare di Claudio Cecchetto partendo dal 1984, quando lanciò Ibiza nell’immaginario collettivo senza mai averci messo piede. Il primo brano da produttore People from Ibiza, l’inno che ancora oggi gira all’aeroporto allo sbarco sull’isola spagnola.

«Sandy Marton mi parlava sempre di Ibiza, io non sapevo neanche dove fosse di preciso e gli dissi: nessuno conosce Ibiza, sfruttala. Se la canti come la racconti a me penseranno tutti che sia il paradiso».

E scrisse il brano?

«Mi presentò una serie di provini e non ne andava uno, all’ultimo mi disse: sono stanco, se non va torno a Ibiza. Ascoltai la traccia e lo chiamai per dirgli: tu resti qui. Con Sandy ho imparato a fare il produttore».

Produttore, talent scout, autore, conduttore e dj, di certo innovatore e rivoluzionario uno che a 30 anni aveva già condotto tre Festival di Sanremo: questo e molto altro è Claudio Cecchetto, fondatore di Radio deejay, Deejay television, Radio Capital e Radio Cecchetto. Quest’estate è tornato ai piatti per far ballare l’Italia con il Deejay Show Summer Tour 2025, un viaggio musicale sulle hit dagli anni’ 80 a oggi. Sarà a Cuneo (7 agosto), Catanzaro (14), Lecce (17), Salerno (il 23). Ha iniziato come disc jockey al Divina di Milano. Gerry Scotti racconta che quando suonava lui fuori si creava una fila che neanche allo Studio 54 di New York e loro, giovani dj, rosicavano tutti.

Torna in consolle per nostalgia del passato?

«No, se il passato è lacrimuccia non mi piace ma se è allegria sì e gli evergreen non sono nostalgici, creano la festa tuttora».

Lei è un evergreen?

«È diventato un evergreen il Gioca Jouer o People from Ibiza che in molti pensavano fosse un pezzo usa e getta, ma io non mi sento un evergreen e poi li vedo i giovani che quando volto le spalle domandano ai genitori: chi è quello?» (ride).

La conosceranno presto se parteciperà al prossimo Ballando con le stelle. È vera l’indiscrezione che la vuole tra i papabili concorrenti?

«Chi può dirlo se non Milly? L’ho sentita un anno fa, abbiamo parlato, chissà quest’anno. Di certo non c’è nulla di certo».

Pronto ad allenarsi e al giudizio in pista?

«Il programma è una macchina eccezionale, ha un suo fascino e non a caso compie 20 anni. È qualcosina in più di un reality, no?».

Ha ascoltato la hit di Sabrina Salerno con Ludwig, Bollente?

«Ecco, tornando agli evergreen Sabrina lo è. Non fa mai brutta figura, è sempre una presenza piacevole ed è sbagliato dire che invecchia bene perché lei non invecchia affatto. Giusto il brano e l’abbinamento con Ludwig, anche se la star del featuring è consacrata, Orietta Berti».

Nato nel 1952 a Ceggia in provincia di Venezia, è un pioniere delle radio libere. A Milano inizia a lavorare come deejay nei più prestigiosi locali, approdando contemporaneamente a Radio Milano International e Radio Studio 105. Mike Bongiorno lo nota e gli fa incontrare Berlusconi, «un imprenditore giovane e sorridente, informale al massimo. Mi invitò in ufficio e mi raccontò la storia di Telemilano 58, la sua televisione, nata a circuito chiuso per essere la tv delle riunioni di condominio di Milano 2. Poi l’intuizione: perché non allargare e farci una televisione? Era il 1978 e Berlusconi mi affidò Chewing Gum, il primo programma musicale di quella che sarebbe diventata Canale 5, per me un’incredibile palestra senza istruttori. Inventavamo, si andava d’istinto», racconta mentre percorre l’autostrada del Sole. Nel 1979 il debutto in Rai con Discoring di Gianni Boncompagni e dopo soli due mesi la grande proposta; gliela fa Gianni Ravera, l’organizzatore del Festival di Sanremo, che voleva «rivoluzionare il Festival dopo un’edizione in cui non era successo niente, quella del ’79 vinta da Mino Vergnaghi. Tu sei così veloce che ci sta un cantante in più, mi diceva». Così la scenografia diventa una discoteca e le sneakers indossate sotto lo smoking conquistano il palco dell’Ariston: Cecchetto conduce l’edizione 1980 con Roberto Benigni e Olimpia Carrisi e poi le due successive 1981 e 1982.

Se la chiamassero oggi a rivoluzionare Sanremo?

«Ho sempre in mente cose, ma fino a quando i risultati premiano la direzione artistica non c’è bisogno di cambiare».

Dopo 74 edizioni il Festival cambia città?

«Ma, non mi pare possibile un Sanremo senza Sanremo».

Brani proposti al Festival che sono stati rifiutati?

«Uno solo: Hanno ucciso l’uomo ragno».

La Ruota della fortuna è un evergreen o il merito del suo successo è di Gerry Scotti?

«Entrambe, Gerry è il numero uno nel riproporre una cosa di successo alla sua maniera».

Anche Scotti è una sua creatura, nel 1982 Cecchetto gli propone di lasciare un contratto a tempo indeterminato in un’agenzia pubblicitaria internazionale per arruolarsi nella neonata Radio Deejay e lui accetta. Idem Fiorello, Jovanotti e Amadeus, che Cecchetto convince a chiamarsi così nonostante le sue resistenze: “mi faceva veramente schifo Amadeus, oggi mi ci chiama perfino mia madre e io la prego, mamma almeno tu”, ha raccontato lo showman nel documentario People from Cecchetto (2023) diretto da Emanuele Imbucci e disponibile su RaiPlay, consigliato in questo nulla televisivo estivo. Non è soltanto la biografia di un personaggio «ma il racconto delle cose che ho fatto» e che hanno segnato un’epoca. L’epoca è quella dei paninari e di un ragazzo che anziché “posare” e cantare composto comincia (in Italia) a saltare da un lato all’altro del palco come impazzito. È la sua trovata più geniale, nasce la stella di Jovanotti.

«Lorenzo è stato un fenomeno fin dall’inizio, dopo due mesi già all’autogrill trovavi le fascette o le magliette col suo nome, è esploso immediatamente. Portava la stella di una nota casa automobilistica cucita sul cappello e la casa madre ci chiamò chiedendo se si poteva evitare perché i furti delle stelle aumentavano di ora in ora».

Che significava quel marchio per voi?

«Fate l’amore non fate la guerra».

Poi ha scoperto Nicola Savino, Marco Baldini, gli 883 (Max Pezzali e Mauro Repetto), Paola & Chiara, Fabio Volo, Leonardo Pieraccioni, i Finley, DJ Francesco divenuto poi Francesco Facchinetti. Un aneddoto su di lui?

«Ai tempi del Capitano mi chiedevano se fosse il nuovo Jovanotti. No, ho sempre pensato, lui è sulla mia scia, un talent scout, un artista un po' più presenzialista di me, un casinista molto in gamba».

Sabrina Salerno -di cui è stato il primo produttore- racconta con affetto che lei tendeva a coprirla e non a svestirla.

«Lavorava a Canale5 ed era in bikini. Ho detto cavolo non va, dovevamo rivolgerci a un pubblico più giovane e non volevo metterli in imbarazzo. Le proposi di lavorare più sull’immaginazione e fu d’accordo».

Veniamo a oggi, ai capelli lunghi e alla piattaforma che ha pensato per chi vuole fare radio.

«I capelli li porto lunghi da sempre sennò la gente non mi riconosce. Berlusconi li odiava e mi diceva sempre di tagliarli. Un giorno mi incontra con i capelli corti e mi fa: bravo, guarda come stai bene, mi hai dato retta? No presidente, sono militare».

Ha lanciato Radio Cecchetto, un nuovo di pensare la radio ripartendo dal web.

«Le radio sono diventate come un ministero, Radio Cecchetto è una piattaforma che imita i social, la fanno gli utenti, io fornisco la tecnologia. Mi sta regalando soddisfazioni e crescerà, ci vuole tempo, lo dico a chi mi chiede: perché non sei ancora al numero uno? Io non cerco il podio ma la formula giusta».

La formula per il successo l’ha trovato da giovane.

«È stata una bella corsa, nella vita ci vuole una buona dose di fortuna e la fortuna non è quella di vincere la lotteria, ma banalmente non aver avuto l’influenza durante il primo Sanremo! Fortuna sono certi incontri della vita o avere la possibilità di dimostrare cosa sai fare».

Chi l’ha fatto sentire fortunato?

«Ravera, quando volle Gioca jouer come sigla di Sanremo».

Senta, tra quelli che sono venuti prima di lei chi è stato il numero uno?

«Arbore. Affabile, geniale, immenso Arbore! Qualche anno fa l’ho premiato al teatro Nazionale di Milano e sono stato felice di presentarlo con immensa riconoscenza».

Il talent scout che è in lei a chi guarda con interesse oggi?

«Non ho la fobia del talent scout, se un ragazzo va bene vuol dire che non ha bisogno di me. Io ho lanciato quelli che gli altri non si filavano».

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