Sassari, la macelleria Poddighe: da quattro generazioni nel cuore della città
Antonello Poddighe: «Il primo è stato mio bisnonno Giuseppino e io sono ancora qui: questa è la mia casa»
Al Mercato Civico di Sassari, tra i rumori di coltelli e il profumo deciso della carne fresca, c’è un banco che non è solo un’attività commerciale, ma una storia di sangue e tradizione. È quello della famiglia Poddighe, specializzata da generazioni nella carne di cavallo, oggi guidato da Antonello Poddighe. Capo Candeliere del Gremio dei Falegnami, Antonello porta al banco la stessa forza rituale che mette nella Faradda: un gesto che non è solo mestiere, ma identità e comunità. «La mia attività ufficiale parte dal 1989», racconta. Ma la storia è molto più lunga. Prima di lui c’era suo padre Giuseppino, prima ancora il nonno Mario, e ancora prima il bisnonno Giuseppino, lo stesso nome che ritorna come una benedizione di famiglia. Il banco nasce alla pensilina liberty, nel vecchio mercato oggi in ristrutturazione.
«Noi qua ci siamo sempre stati», dice Antonello, come se il mercato fosse una casa più che un luogo di lavoro. È cresciuto ad una manciata di passi, in via Lamarmora, ma tra i banchi della macelleria ha fatto scuola di vita. «Prima si vendeva cavallo e asino, quello era il cuore del nostro commercio. Adesso abbiamo anche maiale e pollo per accontentare la clientela, ma la nostra bandiera è sempre la carne equina».
E il mercato di allora? Era un teatro popolare, un palcoscenico dove ogni banco viveva. «La domenica si lavorava e c’era già la folla ai cancelli all’apertura. Adesso è tutto più tranquillo, prima era una festa». C’erano i personaggi, quelli che tutti conoscevano per nome o per soprannome. Antonello li ricorda ancora uno per uno: Gavino Moretti, Gavino lu Babboi e Tore Platamona, chiamati così da tutti, senza bisogno di spiegazioni e «che disossavano che era una meraviglia». Non erano solo aiutanti, erano figure del mercato, parte di una liturgia laica che ogni mattina si rinnovava tra zicchirri, risate e colpi di mannaia. Allora il mercato era un mondo a sé. «C’era di tutto, gente che veniva solo per dare una mano, chi lavava i banchi, chi correva a fare le consegne pur di stare qui in mezzo».
Una zona di passaggio viva, a volte rumorosa, a volte perfino un po’ folle. «Arrivavano personaggi anche strambi, ma il mercato li accoglieva tutti». «All’epoca venivano anche dai paesi per fare la spesa, perché i supermercati non esistevano ancora. Il mercato era il luogo dove si comprava e dove si stava insieme», sottolinea Antonello. Oggi il cambiamento si vede anche nella carne: «Una volta si vendeva soprattutto l’anteriore di cavallo, il macinato e lo spezzatino. Adesso tutti vogliono la fettina, precisa e sottile. È cambiato tutto». Tutto, tranne la fedeltà al banco. E forse è qui che si incrocia il destino dei Poddighe con quello del Candeliere. Nel portare avanti un mestiere antico, come nel guidare un cero, non c’è solo lavoro: c’è un gesto collettivo. «Perché continuo? Per passione – dice Antonello – Mio padre mi portava qui da bambino. È una cosa che ti entra dentro. O la ami, oppure non resisti. Questa è la mia vita».

