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Da Ovodda al Collegio, l'avventura del sedicenne Jacopo Vacca: «Mi è mancato il mio asino Zineddu»

di Francesco Zizi
Da Ovodda al Collegio, l'avventura del sedicenne Jacopo Vacca: «Mi è mancato il mio asino Zineddu»

Lo studente è uno dei protagonisti sardi della nona edizione del docu-reality di RaiPlay ambientato nel 1990

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Sedici anni, un carattere timido e introverso ma con un animo sensibile e gentile, e un forte legame con la sua terra e con il suo asinello Zineddu. Jacopo Vacca arriva da Ovodda, in provincia di Nuoro, e frequenta un istituto tecnico industriale a indirizzo chimico. Appassionato di natura e animali, Jacopo è uno dei collegiali della nona edizione de Il Collegio, il docu-reality di RaiPlay ambientato nel 1990.

Nel Convitto Nazionale “Mario Pagano” di Campobasso, tra rigide regole e assenza di tecnologia, ha affrontato un viaggio di crescita personale e scoperta di sé. Il Collegio è un programma di Rai Contenuti Digitali e Transmediali, direttore Marcello Ciannamea, realizzato in collaborazione con Banijay Italia.

Jacopo, cosa ti ha convinto a buttarti in questa esperienza così fuori dal comune?
«Mah, direi che è stata un po’ la curiosità. L’ho sempre visto in tv con la mia famiglia e mi chiedevo come fosse viverlo davvero: niente telefono, tante regole d’altri tempi, persone nuove e, soprattutto, la possibilità di conoscere meglio me stesso. Volevo mettermi alla prova, capire se sarei riuscito a resistere in un contesto del genere. E poi, lo ammetto, anche l’idea dell’esperienza in TV non mi dispiaceva troppo!».

C’è stato un momento in cui hai pensato “forse non ce la faccio”?
«Sì, la parte più difficile è stata la lontananza da casa, intesa come un insieme di cose: la famiglia, gli amici, le abitudini, le mie passioni. Insomma, tutta la mia quotidianità che lì dentro viene completamente stravolta. È stato un piccolo choc, ma anche una grande lezione».

Ci sono stati momenti complicati durante la trasmissione?
«Di momenti difficili ce ne sono stati tanti. A volte sono riuscito a superarli da solo, grazie al mio carattere, altre volte mi hanno aiutato i compagni. In collegio si crea una sorta di catena invisibile: ci si sostiene a vicenda, anche solo con uno sguardo o una battuta».

Immagino ti sia mancato il tuo asinello Zineddu…
«Ah sì, Zineddu! In realtà ero tranquillo perché sapevo che se ne sarebbe preso cura mio babbo. Ma non nego che, ogni tanto, mi veniva da pensare a lui e a quanto mi piace stare a contatto con gli animali».

Qual è la lezione più importante che ti sei portato a casa dopo questa avventura?
«Ho imparato ad aprirmi di più, a conoscere i miei limiti e a controllarmi. Ma il valore più grande che porto con me è quello dell’amicizia: dentro il collegio si creano legami forti che resistono anche fuori, nonostante i chilometri e il mare di mezzo. Ho imparato anche ad apprezzare le piccole cose e a dare più valore alla famiglia: lì dentro capisci davvero quanto ti manchi».

Come hanno reagito i tuoi cari e i tuoi amici vedendoti in tv? 
«All’inizio c’è stato un po’ di stupore, perché non è una cosa che capita tutti i giorni. Poi però sono stati molto fieri di me: hanno visto quanto mi sono messo in gioco e quanto sono cresciuto. I miei amici mi seguono in ogni puntata e mi scrivono in diretta per commentare tutto. La mia famiglia è super orgogliosa e non si perde un episodio: vivono l’esperienza quasi quanto me!»

Hai portato con te un pezzetto di Sardegna dentro le mura del collegio?
«Sì, ho portato dei prodotti tipici di Ovodda: pane, biscotti e formaggio da far assaggiare a tutti. Ricordi più simbolici non li ho portati, anche se ci avevo pensato… magari il costume tradizionale, ma non mi sembrava il contesto giusto. Però nel cuore la Sardegna c’era eccome».

Se potessi parlare al Jacopo che stava per entrare nel collegio, cosa gli diresti?
«Gli direi di non stressarsi troppo e di vivere tutto con calma. All’inizio sembra un gran caos, ma poi capisci che è un’esperienza unica. Mi direi solo: “Goditela, sii te stesso e non farti troppe paranoie”. Sono occasioni che capitano una sola volta nella vita, e vanno vissute fino in fondo».

Il Collegio 9 è ambientato nel 1990: pensi ti saresti trovato bene in quell’epoca?
«In parte sì. Mi sarebbe piaciuto vivere l’atmosfera di quegli anni, la musica, i modi di fare. Certo, senza i comfort di oggi sarebbe stato più complicato, ma penso che avrebbe avuto il suo fascino. Un po’ come è successo in collegio: vivere le cose sul momento, senza distrazioni, è qualcosa che oggi non capita spesso».

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