La Nuova Sardegna

L'intervista

Lella Costa: «Dall’Otello alle cronache di oggi, i femminicidi drammi senza fine»

di Alessandro Pirina
Lella Costa: «Dall’Otello alle cronache di oggi, i femminicidi drammi senza fine»

L'attrice in scena al Teatro Massimo di Cagliari con la tragedia di Shakespeare, mentre a Tempio e Dorgali porterà "La Fata"

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Sarà una doppia Lella Costa quella in scena nei prossimi giorni nei teatri della Sardegna. L’attrice milanese sarà prima “La Fata”, un intrigante monologo dedicato all’enigmatica figura femminile delle avventure di Pinocchio di Collodi in cartellone sabato 8 novembre alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio e domenica 9 alle 20. 30 all’Auditorium Comunale di Dorgali. Lunedì 10 e martedì 11 Lella Costa arriverà invece al Teatro Massimo di Cagliari, con “Otello / di precise parole si vive”, di cui è autrice, insieme a Gabriele Vacis (che firma la regia) e interprete in un avvincente one-woman-show dove dà voce a tutti i personaggi, per affrontare, attraverso la tragedia shakespeariana, un tema delicato e complesso come la violenza di genere, in un crescendo di abusi psicologici e fisici che culmina spesso in un femminicidio. Tutti appuntamenti targati Cedac.

Partiamo dall’Otello che lei ha portato in scena per la prima volta oltre 25 anni fa. Il suo sguardo sul capolavoro shakesperiano è cambiato rispetto ad allora?
«Il mio sguardo è sempre più colmo di ammirazione, gratitudine verso Shakespeare. Quello che oggi è cambiato, e non in meglio, è il mondo. Otello è l’archetipo del femminicidio seguito dal suicidio: una dinamica che purtroppo vediamo tutti i giorni. L’unica differenza rispetto al passato è che 25 anni fa non c’era una parola per chiamare il femminicidio».

Perché, nonostante si parli di continuo del dramma della violenza di genere, la tragedia dei femminicidi non sembra arrestarsi?
«Se devo essere sincera mi colpisce anche come aumenta ogni giorno la quantità di morti sul lavoro nonostante le tecnologie. È terrificante ma è evidente che, riguardo al femminicidio, la violenza sulle donne esiste ed è qualcosa che sta insito nella patologia di relazione tra maschile e femminile e che non riusciamo a curare. Le norme, l’inasprirsi delle pene non sono un deterrente. Sostanzialmente è una questione di relazioni, di educazione sentimentale. Bisogna coltivare sentimenti belli, dobbiamo partire da lì. Questa non è una pandemia o una tragedia che capita. Se esiste è perché qualcuno lo fa. Pensiamo al caso spaventoso di Giulia Cecchettin: erano i classici ragazzi della porta accanto. Eppure è successo. Forse dare un nome non è bastato, bisognare capire, intercettare».

Come tutti i grandi classici l’Otello sembra scritto oggi…
«Dobbiamo rassegnarci al fatto che Shakespeare era un genio assoluto. Lui vi nacque, avrebbe detto Totò. Perché ci permette senza bisogno di attualizzare o stravolgere, ma anzi mantenendo l’ossatura dell’opera, di fare delle incursioni nella contemporaneità. Ai tempi con Vacis ci chiedevamo quale Shakespeare affrontare. Lui disse l’Otello. E io: perché? Raccontami la trama. Ebbene, sembrava un testo tratto da un quotidiano del nordest - solo perché si svolgeva a Venezia - con tutta la meccanica della assurdità e della ineluttabilità dei meccanismi di violenza, di sopraffazione. Questo mi colpì parecchio. Come anche la tragedia del linguaggio. Otello era uno straniero che fa innamorare Desdemona con i suoi racconti, si era impadronito della lingua di Venezia. E anche il suo ultimo pensiero, prima del suicidio, è per la patria che non lo ha voluto. La sua è anche la tragedia di chi desidera una patria. O pensiamo a Desdemona, giovane donna volitiva, intelligente che si mette contro tutti fino al compimento della tragedia. Una situazione che oggi vediamo ripetersi tutti i giorni».

Passando alla Fata, cosa l’ha affascinata di questa unica figura femminile del Pinocchio di Collodi?
«Tutto è nato da una lettura che feci con Paolo Fresu, che poi è diventata un libro per Giunti. Da lì mi è venuta voglia di fare un piccolo reading. Ovvero uno spinoff. Mi è venuto da ragionare su questa figura, è un divertissement assoluto. È un piccolo gioco sulle fate, che parte dalla Fata turchina di Pinocchio e arriva fino alla Fata Morgana, per chiudere con Michela Murgia, che era una fata, o meglio una jana».

Nelle sue parole c’è sempre tanta Sardegna.

«Anche se mi fa male pensare a quanti amici non ci sono più. Non vengo a Cagliari da tanto tempo e mi mancherà non poter incontrare Daniela Zedda, o Nichi Grauso. Tornare a Cagliari sarà un piccolo mal di cuore, ma ne sono felicissima perché è una città magnifica».

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