Murubutu: «Con il rap si può fare letteratura, non è intrattenimento»
Il rapper sarà a Porto Torres il 13 dicembre con un talk su musica e libri
La musica parlata. In un talk dal titolo emblematico: “Letteraturap”. È l’ultimo progetto di Murubutu, che porta al pubblico le sue riflessioni attorno alla scrittura: dalla letteratura, appunto, ai testi rap.
Il rapper fa tappa a Porto Torres alla braceria Fògu, sabato 13 dicembre alle 19.30, per la rassegna “Il rumore delle pagine” organizzata dal Caats, in dialogo con Stefania Fancellu Courson. Il tema non è una novità per Murubutu, che scrive dischi come fossero libri di racconti, abituato a testi densi di parole, che oltre la musica è professore al liceo di storia e filosofia.
Il suo non è un tour di concerti, ma di talk. Perché?
«Fondamentalmente “Letteraturap” è una riflessione sulle relazioni tra rap e letteratura. Hanno delle caratteristiche intrinseche che li accomunano. E la musica può essere usata a livello culturale e a scuola. Ne parlo con letture ed esempi di storie delle letteratura che possono essere presentate con il rap. Dopodiché il microfono è aperto al dialogo e alle domande del pubblico. Poi chiudiamo con uno showcase».
Dice che rap e letteratura sono vicini, ma in che modo possono intrecciarsi?
«L’ho dimostrato con un singolo pubblicato tre anni fa (“L’avventura di due sposi”, ndr), dove un racconto perfetto di Italo Calvino può diventare benissimo una canzone».
Chi fa musica rap sa delle possibilità che ha la scrittura in metrica?
«Purtroppo spesso le caratteristiche del rap sono al servizio di contenuti superficiali, stereotipati o famigerati, così è solo intrattenimento. Da anni il rap flirta con il pop per attirare i numeri, ma perde tantissimo del potenziale educativo che ha».
Murubutu, lei da sempre ha unito musica e libri. Mi dice tre libri tra i suoi preferiti?
«Forse il mio preferito è “Il ventre di Parigi” di Émile Zola. Per rimanere in tema naturalistico direi “Bel Ami” di Guy de Maupassant. Poi “Spatriati” di Mario Desiati».
Come si scrivono racconti rap? Pensare alla scrittura e poi alla metrica, alle rime e al suono?
«Per me tutto nasce da una visione, da un’idea che come una stella particolarmente potente inizia ad attirarne altre e formare una galassia. Proseguo descrivendo una trama ambientata nel contesto che mi evocano le parole, infine c’è la parte della revisione stilistica. Un lavoro che uno scrittore non fa, ma noi dobbiamo anche far suonare bene le parole e curare l’abbellimento della melodia».
Come riesce, nel panorama discografico di oggi, a non cedere alla necessità di sempre maggiore semplificazione?
«A volte ammiro molto gli scrittori di canzoni che riescono a semplificare tantissimo. Magari non esprimono concetti complessi, ma scrivere una canzone con poche parole è sempre difficile. Il vero talento di chi scrive canzoni è il labor limae, come dice Paolo Conte».
Il suo ultimo album è uscito a inizio 2025, “La vita segreta delle città”. Cosa si nasconde nelle città?
«Da poco ho visto Bangkok e Seul, le megalopoli seguono processi contraddittori. Una grande quantità di persone insieme ma anche grandi solitudini; ricchezze e povertà nello stesso contesto; mancata integrazione. I microcosmi sono i quartieri, dove si trova la vita pulsante, se si scorgono con una visita non turistica».
