La Nuova Sardegna

All’Azuni con il greco si insegnava la vita

di Bianca Pitzorno
All’Azuni con il greco si insegnava la vita

A assari l’omaggio a Margherita Sechi. Una sua allieva ricorda per “La Nuova” un’insegnante straordinaria

04 aprile 2013
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Ho imparato tante cose nel corso della mia vita, e a settant'anni ne sto ancora imparando di nuove. Ma le cose più importanti le ho imparate negli anni del liceo. Il nostro glorioso Liceo Azuni, croce e delizia, generazione dopo generazione, di tanti ragazzi sassaresi.

Ai miei tempi lo stesso edificio ospitava anche la scuola media numero uno.

Un giorno mio fratello Alberto ha fatto il conto di tutte le volte che abbiamo percorso quella strada dall'età di undici anni al fatidico luglio dell'esame di maturità. Non ricordo il risultato del conteggio, ma so che tutte le mattine della mia vita di ragazza (tranne le domeniche e le vacanze) sono uscita dalla casa dei miei, “sotto i Portici”, sono scesa lungo via Cagliari, ho costeggiato in via Torre Tonda il parcheggio delle carrozzelle di piazza, ho attraversato i Giardini Pubblici e arrivata in via Rolando ho salito le fatidiche scale dell'Azuni.

Gli ultimi tre anni, quelli appunto del liceo, sono nel mio ricordo, gli anni migliori della mia vita, quelli più ricchi, più pieni, più fecondi, più felici. Non è un caso che Luigi Manconi, richiesto di descrivermi per l'Enciclopedia delle donne in rete, abbia detto: «La "licealità" non è semplicemente la tappa di un percorso scolastico: è una scelta culturale e, oso dire, morale. Gioco sfrenato e studio affannato, travestimenti clowneschi e letture febbrili, seriosità e cazzoneria. Bianca Pitzorno è rimasta una liceale perfetta».

Seriosità e cazzoneria

Credo che la definizione si attagli anche a molte delle mie compagne di classe d'allora. La Sezione B era esclusivamente femminile. Ancora oggi ricordo perfettamente i ventotto nomi dell'Appello, come una litania familiare: Auzas Balata Becciu Boe Brescianino Buscarinu Corona Farre Falchi Fiori Frau Giretti Manconi Matera Merella Molino Mulas Nuvoli Odoni Oggiano Panu Pitzorno Podestà Porqueddu Segreti StaraAnna StaraMaria Tanda.

C'erano alcuni insegnanti – non ne farò i nomi – che erano fonti inesauribili di risate e di scherzi, come quella volta che ci presentammo in aula tutte, ma proprio tutte, anche le prime della classe, con la testa decorata da un vistoso fiocco bianco di carta igienica, o quando organizzavamo dei veri pic nic in aula, apparecchiando persino la cattedra dell’ignaro professore – astemio – con tovaglia a quadretti e fiasco di chianti.

Quando nel film “Amarcord” di Fellini appare la carrellata esilarante dei professori come il protagonista li ricorda nei loro tic e smorfie assurdi, non posso fare a meno di riconoscerli come alcuni dei nostri in quegli anni.

Ma c'erano, e hanno avuto un peso assai maggiore, insegnanti che ci hanno davvero formato, dal punto di vista non solo culturale, ma etico, filosofico, umano nel senso più esteso del termine.

Tra questi Manlio Brigaglia, che ci insegnò italiano purtroppo soltanto in prima e in seconda. Da lui imparammo a inquadrare la poesia e la letteratura nel panorama più ampio, storico e sociologico, in cui erano nate. Imparammo a conoscere bene i testi prima di studiarne la fortuna critica. Imparammo a scrivere argomentando distesamente, ma anche ad essere stringate e sintetiche.

Omero e Farah Diba

Era spiritoso, sarcastico, non ci risparmiava le prese in giro, approfittando delle stupidaggini che ci scappavano di bocca per addestrarci al gusto per i giochi di parole. «Pascoli usa un linguaggio abusivo», diceva qualcuna, intendendo «allusivo». «Eh, sì – commentava professor Brigaglia – trattandosi di pascoli, abusivo è un termine pertinente. Secondo lei potremmo definirlo anche brado?» Ci faceva riassumere la “Vita Nova” di Dante come se fosse lo storyboard di un fumetto. Commentava le nozze dello Scià di Persia con Farah Diba inserendole nella mitologia bassa del feuilleton.

Però quella che “dava il tono” alla sezione B, che ci ha seguito per tutto il corso, e che oltre che insegnante di latino e greco ci è stata maestra di vita, era LEI, guida ed esempio per le allieve più serie, stimolo per quelle assetate di sapere, indulgente per i nostri residui lunatici e umorali di adolescenza ma spauracchio per le frivole, le neghittose, quelle che preferivano i flirt e i balli di carnevale alle emozioni profonde della poesia di Omero o di Saffo, quelle che venivano a scuola «perché ce le mandavano» e che oggi forse la ricordano soltanto come un cerbero dalla severità esagerata. Era lei, Margherita Sechi, di cui solo ieri, dopo mezzo secolo, il «genio» della nostra classe, Maria Grazia Porqueddu, mi ha ricordato al telefono commossa: «Le sue parole erano tutte d'oro».

«La Sechi» infatti non ci insegnava gli autori latini e greci soltanto nella loro accezione filologica, ma ci guidava alla comprensione della poesia come educazione dei sentimenti, delle emozioni private e pubbliche, come partecipazione alla vita interiore del singolo, ma anche a quella pubblica, civile, di società molto antiche dove però affonda l'intera nostra cultura contemporanea. Ne conseguiva una educazione al senso della bellezza e della responsabilità, al rigore dovuto a sé stessi prima che agli altri, ma anche alla tolleranza oraziana, alla tenerezza virgiliana per i più semplici e deboli. Ci insegnava la prevalenza della ricchezza interiore che nessuno ci può togliere rispetto a quella materiale, il valore dell’aristocrazia dello spirito rispetto a quella del censo o del sangue.

Tolleranza e umorismo

In quella che gli altri adulti consideravano un residuo de «l'età della scemenza», lei ci trattava da adulte, interlocutrici alla pari, a pieno titolo, destinatarie di fiducia completa, con la conseguente richiesta di impegno, sincerità, assunzione di responsabilità. Avrei centinaia di aneddoti da raccontare a questo proposito; anche dei momenti in cui la «cazzoneria» ricordata da Luigi Manconi ci spingeva a sfidarla con iniziative pazze e temerarie, e lei ci spiazzava accettandole con un insospettato senso dell’umorismo.

Ho avuto la grande fortuna di esserle amica anche dopo gli anni di liceo. Di poter contare sul suo consiglio nei momenti nodali della mia vita. E quando l'ho perduta a causa della sua morte improvvisa ho capito che l'impronta che aveva lasciato in me e nelle mie coetanee non sarebbe scomparsa mai.

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