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Una città e le sue storie
Una città e le sue storie - Sassari

Bruno Billeci: «Sassari bella e smemorata»

di Giovanni Bua
Bruno Billeci: «Sassari bella e smemorata»

Il soprintendente racconta le tante anime della città «Il turismo culturale può essere la sua vocazione»

01 aprile 2024
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«Sassari è una città molto interessante. Mi ha subito colpito quando sono arrivato qui, oltre 20 anni fa. Con il suo nucleo storico importante, e le varie espansioni, così interessanti dal punto di vista progettuale e così ben visibili, realizzate. Trovo che abbia tantissimo da raccontare. E che i sassaresi siano i primi che se ne dovrebbero rinnamorare».

È un moto d’affetto sincero quello di Bruno Billeci, ma anche una lucida analisi di un super addetto ai lavori, che mentre parla percorre con il pensiero le vie antiche e nuove di una città di cui conosce ogni angolo, vestendo di volta in volta i panni di architetto, professore universitario di Restauro, soprintendente (ruolo questo che riveste dal 2019) ma anche semplice appassionato della bellezza che tutela e convinto sostenitore del fatto che: «Questa città, questo territorio, può giocare un ruolo importante dal punto di vista del turismo culturale. E proprio questo, anche grazie alla decisiva presenza dell’università, può essere la vocazione che Sassari cerca di ritrovare».

Partiamo dal centro storico.
«Iniziamo dal circuito delle mura che, anche se manomesso, è comunque riconoscibile, a differenza di quanto è successo in altri centri. Lo leggiamo con facilità su corso Vico, Porta Nuova, Corso Trinità e poi ovviamente via Torre Tonda. Questo potrebbe essere un primo itinerario tematico molto interessante da valorizzare, che si potrebbe concludere in piazza Castello, che è il perno di questa composizione urbana che si voleva realizzare».

Non rimane molto.
«Dopo l'ottocento, dopo l'unificazione, nelle città vengono demolite tutte le mura. Però in alcuni posti sono scomparse totalmente. Sassari, oltre a importanti resti, mantiene anche la forma urbana laddove c'è il segno lasciato dalle mura. Inoltre in questi anni sono stati fatti molti studi, molti scavi, alcuni restauri. E ci sono mezzi tecnologici importanti, esperienze virtuali che unite alla fisicità del bene ancora presente ti permette di raccontare una storia, e di far rivivere una fase importante».

E dentro le mura?
«Anche se non è nelle migliori condizioni possibili il centro storico è comunque denso di significati e di architetture e ha una estensione importante se consideriamo anche i suoi nuclei di espansione ormai storicizzati. Esso è riconoscibile, nonostante gli sventramenti condotti, come in tutta Italia, che comunque per quanto riguarda Sassari è un intervento limitato a piazza Colonna Mariana. Avrebbe bisogno sicuramente di interventi coraggiosi. A iniziare da un piano per gli edifici in cattive condizioni, proseguendo con una politica molto decisa per il recupero del patrimonio costruito: i privati vanno aiutati, ma il pubblico deve programmare ed essere capace di sostituirsi. Ci sono tante esperienze in tal senso dove il Comune acquista, restaura e concede in affitto a canone agevolato per i nuovi residenti. E lo stesso andrebbe fatto con gli edifici di proprietà pubblica, il cui restauro è per me da considerare più urgente a quello, ad esempio, della pavimentazione storica. Il punto è mettere a posto il patrimonio edilizio e ripopolare».

Per farlo servono tantissimi soldi.
«Sicuramente. Ma ci sono modi migliori di spenderli? E’ evidente che il privato va incentivato e aiutato a riqualificare. Come è evidente che il recupero e il riutilizzo valorizza in maniera incredibile l’esistente e apre una serie di prospettive importanti dal punto di vista storico ma anche economico».

Fuori dalle mura?
«La cosa più interessante di Sassari è proprio la facilità con cui si possono leggere tutte le sue anime, le sue storie. Ad esempio, l’espansione verso l’agro con una bella idea progettuale, l'emiciclo, i giardini a fare da cerniera con il centro storico. Quest'idea che la città antica si apre verso l'entroterra, perché ci sono nuove esigenze, un modo nuovo di abitare, di utilizzare il territorio. Ma anche l’asse così settentrionale, sabaudo, di piazza Castello, piazza d’Italia e via Roma e tutta la parte ottocentesca. Non sembra quasi di essere in una città del mediterraneo. C'è un impianto moderno, un'idea realizzata, perché lungo questa direttrice, oltre ai palazzi, c'erano anche gli edifici pubblici, che ancora vediamo».

Poi c’è la parte dello sviluppo industriale.
«A cui noi come Sovrintendenza siamo molto sensibili. Le concerie Costa, gli ex Mulini Azzena, lo stabilimento Ardisson. Storia e vita della città. Racconta di quando Sassari, che aveva una tradizione manifatturiera, apre in maniera moderna anche alla produzione. E tutta questa zona che si viene a creare tra Corso Vico e quella che oggi è Predda Niedda, comincia ad essere saturata. Non a caso, perché qui confluiscono le vene d'acqua, le famose dragunare. E questa è una zona che ha un respiro. Che è importante per l'architettura, perché gli stabili hanno qualità, c’è una dignità dell'insediamento, ma anche per la storia».

Come si coniuga in questo caso tutela e prospettive di sviluppo?
«Perfettamente direi. Sugli ex mulini ci sono ad esempio interessanti interlocuzioni in corso. Come per lo stabilimento Ardisson, dove subentra anche un solido orgoglio familiare, di appartenenza. I privati hanno interesse a valorizzare la storicità dell’insediamento. Il suo carattere. E sono luoghi con enormi metrature, planimetrie. Uno stabilimento produttivo ha grandi spazi, grandi altezze, utilizza materiali abbastanza vicini a quelli “nostri”, ferro, calcestruzzo, molta muratura di un certo tipo, che si sposano benissimo con progetti di recupero e utilizzo. E la Soprintendenza è sempre pronta a dialogare e trovare soluzioni. La tutela non vuol dire abbandono ma valorizzazione. E recupero della memoria».

Sassari è smemorata?
«Molte città in Italia stanno recuperando la loro storia industriale attraverso la salvaguardia delle architetture della produzione. Noi abbiamo perso la memoria di quando Sassari era una città industriale, manifatturiera. E anche tante altre “memorie”. E uno degli obiettivi che mi sono posto quando sono arrivato, è di tutelare il patrimonio per consentire la sua valorizzazione. Anche perché è davvero tanto quello che si è salvato».

Un esempio?
«Le ville liberty della zona di Cappuccini. A Palermo, tornando alla Sicilia che ben conosco, gli spazi verdi attorno alle residenze sono stati quasi ovunque fagocitati dalla città. A Sassari no, vi sono diversi esempi in cui tale spazio verde è ancora presente. Certo molte di queste ville meravigliose, sia pubbliche che private, sono chiuse. Spesso i proprietari hanno difficoltà ad effettuare le manutenzioni. Ma esse, nel complesso, costituiscono un altro interessantissimo spunto tematico da valorizzare e raccontare. Come è incredibile il verde privato che c’è nella parte ottocentesca, chiuso nei cortili. O edifici come l’ex orfanotrofio, oggi riusciamo a coniugare funzione e armonia architettonica. È dignitoso, il suo telaio è molto bello, dentro ha un giardino, le scale, i vetri colorati. C'è una qualità di progettazione che noi oggi non riusciamo a garantire».

Passiamo alla parte archeologica.
«Anche qui le possibilità sono praticamente infinite. Basti pensare alla zona a San Lorenzo dove doveva sorgere il campus».

Avete bloccato i lavori.
«Conoscevamo l’area, sapevamo che c’era la possibilità di ritrovamenti. E quando abbiamo fatto i primi saggi sono saltati fuori rinvenimenti potenzialmente eccezionali, e che comunque meritano di essere studiati».

Si torna ai soldi.
«E di nuovo è un falso problema. Abbiamo una facoltà che forma archeologi che vanno a scavare in Tunisia. Potrebbero farlo anche qui, a San Lorenzo, attraversando la strada. Abbiamo una facoltà che forma Architetti, che studiano, progettano. Studino anche, come in parte stanno già facendo, il centro storico di Sassari. Si creano competenze, idee, ma soprattutto sensibilità che rimarranno quando entreranno nel mondo del lavoro. Quando verranno contattati per ristrutturare uno stabile o magari decideranno di acquistarne uno perché ne riconoscono il vero valore».

La speranza sono le giovani generazioni?
«Una cosa è certa. L’economia del cow boy, che continua a espandersi all’infinito, è terminata. Bisogna riusare, valorizzare, riscoprire, rimettere a posto. Con cautela e conoscenza, ma anche con coraggio ed entusiasmo. Sassari ha davvero tanto da riscoprire, mostrare, ricordare prima di tutto di possedere. Ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo guida nel territorio dal punto di vista formativo e lavorativo. E iniziare a scrivere, grazie alle sue bellezze, un nuovo capitolo della sua lunga storia»

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