La Nuova Sardegna

L’applicazione della legge 194

L’aborto è un diritto delle donne che spesso viene contrastato

di Bianca Ena*

I tentativi di aggirare la normativa

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«Non puoi abortire, sei un’assassina» «L’aborto è un omicidio». Una donna che non vuole portare a termine una gravidanza, per i più svariati motivi, spesso si sente ripetere queste frasi. Per quanto la legge 22 maggio 1978, n. 194 sull’aborto sia stata approvata in Italia, essa è spesso ignorata, ed è così fragile, che lo stesso governo ha deciso di aggirarla e attaccarla passivamente, rendendola in questo modo una legge presente ma quasi invisibile. Ma che cos’è l’aborto? L’aborto – non parlo dell’aborto spontaneo – è l’interruzione di una gravidanza che la donna ha scelto di non portare avanti per una sua inconfutabile decisione. Ma guardiamo alla prassi che precede l’interruzione della gravidanza. Una donna va in un consultorio pubblico, una clinica o un ospedale per abortire. Dal momento in cui arriva incontra ostacoli. Ecco il primo: può capitare che un antiabortista la fermi e inizi a spiegarle perché non debba abortire. Quando finalmente riesce a entrare ecco altri antiabortisti che si fanno avanti, e magari alcuni sono medici che mettono in atto tentativi per indurle un senso di colpa. E qui ci si chiede come mai gli “anti-scelta” si trovino dentro le strutture dove le donne che vogliono interrompere la propria gravidanza dovrebbero ricevere conforto. E’ proprio questo l’attacco passivo alla legge da parte del governo. La legittimazione della presenza nelle strutture degli antiabortisti priva le donne di una piena libertà – di cui hanno diritto – nella scelta di interrompere la gravidanza che sta avendo luogo nel loro corpo, non di chi si mette a dire che dovrebbero abortire. Loro è il corpo, loro la decisione. Loro è la vita, dentro di loro è la vita (o meglio, la quasi vita) che decidono di non portare avanti.

*Bianca è una studentessa del liceo Azuni di Sassari
 

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