Tar, ordinanza a tempo ormai scaduto
Consiglio di Stato e Cassazione hanno deciso da tempo: quel complesso edilizio può essere solamente un albergo
ALGHERO. Il tempi della giustizia sono lunghi, ma prima o poi giungono a conclusione. Anche se a tempo scaduto. È il caso della annosa vicenda dell'hotel Capo Caccia e dell'inesauribile conflitto tra la società che gestiva l'albergo, la “MG srl”, e i proprietari delle unità abitative inserite nello stesso complesso che domina la baia antistante il complesso carsico, uno dei simboli più noti della Riviera del Corallo. Nel 2004 i condomini del complesso turistico presentarono istanza al Tar della Sardegna contro il diniego da parte del dirigente dell'Edilizia privata del Comune di Alghero che aveva respinto le istanze degli stessi condomini in relazione alla richiesta di ottenere il cambio di destinazione d'uso del complesso, almeno per quanto riguarda le rispettive unità abitative, da ricettivo alberghiero a residenziale. A dieci anni da quel ricorso il tribunale amministrativo regionale si è pronunciato recentemente evidenziando che il processo deve intendersi “interrotto” in quanto una delle parti, la MG srl, è stata dichiarata fallita ed è così venuta meno “la capacità di stare in giudizio a una parte necessaria”. Va ricordato che sul cambio di destinazione d'uso esiste un dossier di sentenze imponente che vede protagonisti il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione a sezioni riunite. Sentenze tutte univoche: la destinazione d'uso del complesso di Capo caccia non può che essere alberghiera.
Ma a margine dei procedimenti in corso, quelli amministrativi ma anche giudiziari, va segnalato che l'hotel Capo Caccia, ormai chiuso da quattro anni, e lo resterà anche per la prossima stagione, sta cadendo a pezzi. Quella che era considerata una delle strutture ricettive di maggiore prestigio, anche per la straordinaria collocazione ambientale che ne ha sempre fatto un sito turistico unico, priva di manutenzione ordinaria e straordinaria, è ormai in lento decadimento strutturale. L'intero impianto è infatti abbandonato a se stesso e sono evidenti i segni dell'incuria, dell'usura strutturale provocata dagli agenti atmosferici, la vegetazione si sta impadronendo degli spazi alberghieri, tutta la rete idraulica, elettrica e fognaria ha perso efficienza e funzionalità.
Si sta sgretolando sotto gli occhi di tutti un patrimonio che non era soltanto nella proprietà dei singoli o degli aventi diritto, ma che era di tutta la collettività in quanto per realizzare l'intervento era stata sacrificata una porzione importante del territorio, forse quella più prestigiosa e di maggiore valore ambientale. Non è poi secondario il fatto che l'hotel, a regime, dava lavoro a oltre un centinaio di dipendenti e nei tempi migliori riusciva perfino a mettere a segno 60/70 mila presenze all'anno. Difficile da quantificare era anche l'indotto esterno e le importanti ricadute economiche che provocava, dagli approvvigionamenti delle derrate alimentari ai servizi. Si pensi soltanto ai trasporti, pullman, taxi, noleggi. Incuriosisce che questo disastro stia avvenendo nel silenzio generale, quasi che il territorio possa far finta di niente delle perdite in atto, strutturali, dei privati, economiche e occupazionali di tutti gli altri. Altro motivo di curiosità è dettato dal fatto che una città che riesce a mobilitarsi per una antenna della Vodafone che viene messa in una piazza, (una violenza, non vi è alcun dubbio), rimane distratta di fronte a uno sfacelo come quello in corso ormai da anni sul promontorio che guarda a Capo Caccia.