La Nuova Sardegna

Alghero

Quattro incendi dolosi in una sola notte

di Gian Mario Sias
Quattro incendi dolosi in una sola notte

Presi di mira l’ex campo rom dell’Arenosu, l’hotel Bellavista, un’auto a Maria Pia e dei cassonetti vicino all’Hotel dei Pini

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ALGHERO. Alghero brucia. Quattro incendi in una sola notte. Dalla pineta dell’Arenosu, che fino al gennaio scorso ospitava il campo nomadi, all’Hotel Bellavista di Fertilia, piazza San Marco, che dopo il declino e la chiusura aveva ripreso vita su impulso di un gruppo di madri coraggiose e disperate, che avevano risposto con l’occupazione e l’autogestione al bisogno di casa per loro e i loro figli, cui nessuno aveva saputo dare una garanzia concreta. Tutto in fumo, tutto in una notte. Due obiettivi sensibili, moltissime analogie, una simultaneità che spazza via tutte le prudenze degli investigatori e lascia pochi dubbi alla convinzione che si sia trattato di fatti di natura dolosa, strettamente collegati tra loro. Come una denuncia – violenta, ingiustificata e intollerabile, per carità – del grave stato di abbandono di un patrimonio pubblico che chiede cura, rispetto, attenzione. Che chiede una seconda possibilità. In mezzo altri due episodi, che sanno di diversivo, di sfida e di noia. Un’auto bruciata nell’agglomerato urbano principale della Riviera del corallo, dalle parti di Maria Pia e della cittadella sportiva, e alcuni cassonetti che qualche ora dopo prendono fuoco nei paraggi dell’Hotel dei Pini, tra le Bombarde e il Lazzaretto. Unendo sulla mappa della città i punti di questa rappresaglia piromane non si riesce a identificare un bersaglio preciso. Perciò è inutile tentare di ricondurre tutto a una sola strategia, attribuire gli incendi alla stessa mano, leggere un messaggio chiaro in episodi che potrebbero avere radici molto lontane. Partendo dagli episodi meno gravi, per esempio, non fa quasi più notizia la Renault Clio letteralmente carbonizzata poco la mezzanotte nel parcheggio della piscina comunale, in via Costantino, a pochi metri dal liceo artistico e da Maria Pia, dove si nascondono gli impianti sportivi, dal calcio al rugby, passando per il tennis. Il fenomeno delle auto che ad Alghero prendono fuoco in piena notte è una costante che si ripete da mesi. Solo dall’inizio del 2016, il numero di macchine parcheggiate per strada e distrutte dalle fiamme non si conta più. E anche i cassonetti bruciati all’Hotel dei Pini, nel paradiso balneare tra le Bombarde e il Lazzaretto, sanno più di un episodio isolato, pensano gli investigatori, o al massimo di un diversivo alla noia, tutt’al più a un gesto commesso per emulazione, tanto per vedere l’effetto che si prova a farla franca. Di matrice completamente diversa gli incendi nell’albergo con vista su Alghero, simbolo di quello che Fertilia è oggi e anche di quello che non è più da un pezzo. Meta di cacciatori di rame, di ricettatori di rubinetterie e sanitari, soggiorno temporaneo per senza fissa dimora, il Bellavista ha preso fuoco per una precisa volontà di qualcuno. Come spiegano i vigili del fuoco di Alghero, che ieri – insieme ai carabinieri – hanno dovuto mettere in campo tutta la loro professionalità insieme ai carabinieri della compagnia del comandante Daniele Girgenti, all’interno di quella struttura non c’è corrente elettrica o nient’altro che possa aver provocato un corto circuito. Quelle fiamme che hanno raso al suolo la hall della struttura, distruggendo il primo piano e lambendo quelli più in alto, sono la conseguenza di una volontà precisa. Non è un caso che il rogo, per domare il quale è stato necessario anche l’intervento di alcune squadre provenienti da Sassari, sia scoppiato a pochi minuti di distanza da quello che ha devastato la pineta dell’Arenosu. Cumuli di rifiuti abbandonati, bombole di gpl per uso domestico, gomme, rottami, mobili distrutti. Tutto confluito in un grande falò ad altissimo rischio ambientale. In un caso come nell’altro, sono stati pesantemente chiamati in causa i sensi di colpa di chi avrebbe dovuto trovare le risorse, i tempi e i modi per risanare e restituire quei due beni pubblici alla comunità. Lo scopo dimostrativo potrebbe essere stato proprio quello: è una pista che gli inquirenti non escludono.

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