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Nuoro

Noi sardi abbiamo tutti una goccia di sangue ebreo

Noi sardi abbiamo tutti una goccia di sangue ebreo

Elio Moncelsi, artista e pastore evangelico che studia il popolo d’Israele «La Sardegna è sempre stata una terra di rifugio per i dispersi tra le nazioni»

19 gennaio 2013
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Qual è oggi la presenza degli ebrei in Sardegna? Esiste una vera e propria comunità ebraica sarda organizzata?

«Gli ebrei residenti in Sardegna non vanno certo in giro con la stella di Davide appuntata al petto, così da poter essere individuati... sta di fatto comunque che in Sardegna non può esistere un sardo che sia sardo e non abbia nelle vene almeno una goccia del sangue di Abramo».

Come mai?

«Lo dico anche per un semplice calcolo delle probabilità e per via dell’endogamia che è una costante in quest’isola dove ci ritroviamo tutti parenti e legati da vincoli che superano la moderna burocrazia anagrafica. E del resto, che il popolo sardo abbia carattere semitico ed ebraico, lo sosteneva già nel 1937 Eliezer ben David, alias Guido Bendarida, in un suo saggio molto documentato e ancora oggi fondamentale».

Lo sosteneva anche Emilio Lussu, il più sardo dei sardi...

«Polemizzando con il “Manifesto della razza”, Lussu reclamava il diritto di chiamarsi semitico e dichiarava il suo orgoglio di essere tale, appunto perché sardo».

Ma come mai tutti i sardi sono un po’ ebrei?

«Perché senza saperlo noi sardi potremmo essere discendenti dei quattromila giovani soldati israeliti o degli innumerevoli ebrei che nel corso dei millenni hanno trovato accoglienza in Sardegna».

A cominciare dagli ebrei deportati nelle miniere di Lula?

«Sì, basti pensare che ai tempi della Grande Guerra i fanti provenienti da Lula venivano definiti sos ebreos, chiamati così per via dei tanti schiavi ebrei deportati nelle miniere del Montalbo in epoca romana. È a quei tempi, infatti, che risale la prima presenza documentata di ebrei in Sardegna».

Ossia?

«Siamo nel 19 dopo Cristo. La comunità ebraica a Roma fa molti proseliti, anzi troppi. Così l’imperatore Tiberio, vero precursore dei criminali nazisti, emette un editto per arruolare forzatamente tutti i giovani giudei atti al servizio militare e li invia in Sardegna per combattere “i latrocinii”».

I latrocinii?

«Sì, i latrocinii dei sardi pelliti. Tiberio fu l’artefice della prima “pulizia etnica”, il suo intento era quello di distruggere la comunità ebraica d’Italia. Ma Roma aveva tanti pregiudizi anche nei confronti della “razza” sarda, mastrucati, “gente priva di fede e di autorità” secondo Cicerone».

Quindi confinando nell’isola quattromila ebrei, Roma sperava si scatenasse una guerra interna con i sardi?

«È probabile. Forse Tiberio sperava che sardi ed ebrei si scannassero tra di loro... anche perché secondo Giuseppe Flavio gli ebrei sbarcati nell’isola erano ben ventimila. I quattromila soldati più tutte le loro famiglie al seguito... ».

Ma sardi ed ebrei non si sono mai scannati...

«I sardi sono un popolo ospitale, sempre pronti, e da sempre, oggi come ieri, ad accogliere i forestieri a braccia aperte. Tant’è vero che in Sardegna non c’è mai stata alcuna persecuzione degli ebrei».

E allora perché a Cagliari esisteva il ghetto degli ebrei?

«In realtà, quello di Castello, era un quartiere popolato da ebrei, già all’epoca del dominio pisano, con una sinagoga documentata fin dal VI secolo. Non era un ghetto, visto che già nel 1339 gli ebrei potevano entrare e uscire liberamente dal Castello con le loro merci anche senza la licenza regia, sempre che avessero pagato regolarmente i tributi dell’aljama, la comunità israelitica».

Eppure, quando la peste nera imperversò in tutta Europa, la colpa venne attribuita agli ebrei, definiti “untori”...

«La “morte nera” arrivò anche in Sardegna, facendo vittime eccellenti, ma la popolazione locale non reagì all’evento calamitoso riversandone la responsabilità sui giudei, che non subirono attacchi né persecuzioni di alcun tipo nelle città che ospitavano le aljamas sarde, a Cagliari, Iglesias, Alghero, Sassari e Oristano. Anzi, in Sardegna non mancano certo i dati che confermano la promiscuità e l’integrazione tra le due comunità... ».

Nessun conflitto?

«Beh, qualche problema c’è sempre stato, ma nulla di particolarmente grave».

Come mai?

«Essendo proprietà particolare del re, e per questo definiti “servi della corona”, i giudei godevano di una posizione speciale e non erano soggetti ai soprusi del clero o delle autorità locali come gli altri sudditi del regno. Vivevano in un quartiere loro riservato e versavano i tributi direttamente al re, quindi anche il re aveva tutto l’interesse a tenere buoni rapporti con gli ebrei».

Tanto da registrarli uno per uno, anche in Sardegna...

«Per ragioni fiscali, in verità. Ed è proprio grazie a quei registri, oltre a quelli notarili e giudiziari, che oggi possiamo conoscere i cognomi di molti ebrei che abitavano in Sardegna nel Medioevo o diffusi in tutta l’area del Mediterraneo».

Tipo?

«Ce ne sono tanti... li riportano Cecilia Tasca e Eliezer Ben David nei loro elenchi degli ebrei della diaspora».

Tra i quali si leggono anche cognomi sardi come Cara, Monne, Serusi, Usai... persino un cognome tipico di Orune come Zizi...

«Sì, Zizi è un cognome di ebrei dell’Africa settentrionale, diffuso in Sardegna».

A dimostrazione che i “figli di Israele” sono parte integrante della storia sarda?

«È da tremila anni che un popolo che non è un popolo partecipa costantemente e silenziosamente alla crescita e alla cultura della Sardegna».

Da tremila anni?

«Dai tempi della biblica Tarsis che altro non era che la nostra Ichnusa, Sandalion, Sardinia, Cerdeñ. a, Sardegna... una “terra di rifugio” che ha sempre accolto il popolo d’Israele disperso tra le nazioni. Lo ha fatto la Sardegna fenicia, romana, bizantina e giudicale. E persino alla vigilia dell’era moderna, la Sardegna ha dato agli ebrei del continente europeo un luogo in cui sentirsi liberi».

E cosa successe, in Sardegna, quando Ferdinando il Cattolico re d’Aragona firmò il famigerato editto di espulsione nel 1492?

«Moltissimi ebrei sardi hanno preferito convertirsi come marrani per restare nell’isola e conservare così i loro beni. Molti altri non aspettarono la pubblicazione dell’editto e si prepararono in tutti i modi a lasciare il regno di Sardegna che era stato così generoso con loro. È opinione di alcuni studiosi che l’assimilazione in Sardegna fu facilitata (per assurdo) anche dalla mancanza di un accanimento persecutorio e di una reazione di intolleranza, come invece successe nel resto dell’Europa: nell’isola non ci sarebbe stato per gli ebrei un rifiuto significativo da parte dei sardi semplicemente perché tra le due popolazioni vi era una grande affinità sia da un punto di vista etnico sia culturale».

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