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«Una laurea in carcere, l’opportunità di una vita»

«Una laurea in carcere, l’opportunità di una vita»

Nicola Dettori, detenuto a Spoleto, è diventato dottore in Storia dell’arte All’università di Perugia ha discusso la tesi “Il Cristianesimo a Orgosolo”

07 gennaio 2014
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Che cos’è oggi il carcere? E soprattutto: a cosa serve il carcere? A punire o a redimere?

«Se esiste la certezza che la persona detenuta abbia commesso il reato che gli viene imputato, è un conto... altrimenti, se così non fosse, il carcere è la peggiore esperienza di vita che possa capitare. Certo, se la persona è colpevole, la detenzione dovrebbe essere un “momento della vita” dove si apprende l’arte di vivere. Ma purtroppo, spesso, da detenuti, non è possibile fare certi percorsi di vita a causa della miriade di problemi che esistono all’interno delle strutture carcerarie».

Lei in quante prigioni è stato finora?

«Cagliari, Nuoro, Sassari e Spoleto».

Quando è entrato per la prima volta e quando ne uscirà da uomo libero?

«Sono entrato nel 1995 con un fine pena al 2015».

Perché è in carcere, per cosa è stato condannato?

«La mia condanna è un po’ anomala, perché sono stato condannato per “concorso morale” per il reato di sequestro di persona (di Giuseppe Vinci, ndr)».

Il carcere le ha dato l’opportunità di studiare e laurearsi. È così per tutti i detenuti?

«No, perché dipende dal carcere dove sconti la pena, in alcuni Istituti non esistono accordi o protocolli con l’Università, e quindi il detenuto è costretto a rinunciare a intraprendere un corso di studi. Da questo punto di vista, a Spoleto si dà l’opportunità di accompagnare lo studente dalle superiori fino alla laurea specialistica, soprattutto per quanto riguarda le facoltà umanistiche».

Qual è stato, finora, il suo percorso di studi in carcere? Che opportunità ha avuto?

«Sono arrivato a Spoleto nel 2001 e ancora non avevo conseguito la licenza media. Grazie all’impegno personale e a una serie di coincidenze sono riuscito a superare l’esame e così ho potuto iscrivermi al primo anno dell’Istituto d’Arte, dopo cinque anni ho conseguito il diploma. Non pago di questo, e grazie alle insistenze della professoressa Lidia Antonini di Spoleto, mi sono iscritto alla facoltà di Scienze dei beni storico artistici dell’Università di Perugia. Nel luglio 2012 ho discusso la tesi della triennale, argomento: “Il Cristianesimo a Orgosolo. Dalle origini fino al secolo XX”. Ad ottobre dello stesso anno mi sono iscritto alla specialistica in seguito al consiglio della professoressa Lucia Mazzucato, docente di Storia dell’Arte con la quale seguo il tirocinio, ho scelto il percorso universitario di Storia dell’Arte, una materia meravigliosa».

Cosa le manca di più quando è in cella?

«La possibilità di comunicare con l’esterno (internet) e poter avere un contatto diretto con l’Università di Perugia ».

Il sistema penitenziario italiano è stato più volte “condannato” dalla Corte europea dei diritti dell’uomo...

«Nonostante (quasi) ogni anno la Corte europea sanzioni il nostro sistema carcerario, spesso queste sentenze vengono sottovalutate e non si prendono provvedimenti per risolvere i problemi, dimenticando che il carcere è composto da uomini che hanno la propria dignità e sensibilità».

La territorializzazione della pena è prevista da una legge che non viene applicata.

«Purtroppo anche questa legge è spesso disattesa, molti detenuti (non solo sardi) chiedono il trasferimento nel luogo d’origine, ma spesso viene negato adducendo alle motivazioni più disparate. I trasferimenti nei luoghi d’origine sono fondamentali per la persona detenuta e soprattutto necessari per tenere i rapporti familiari. Per quanto mi riguarda preferisco concludere l’espiazione della pena a Spoleto poiché ho l’opportunità di concludere l’intero ciclo di studi universitari».

Rinchiudere un sardo in una galera della penisola serve a qualcosa? C’è un motivo preciso?

«La motivazione potrebbe essere quella riferita al termine strettamente penitenziario, o penitenza, quindi punizione nel senso psicologico del termine poiché ciò significa stare lontano dagli affetti familiari. Non credo ci sia un motivo ben definito anche se talvolta potrebbero presentarsi problemi di opportunità, termine usato dallo stesso Ministero».

Come è scandita la sua giornata in carcere?

«Da quando sono arrivato nella Casa di reclusione di Spoleto, sono impegnato nel lavoro e nello studio. La mattina, di solito, fino alle 13 sono addetto alla cucina detenuti. Ma talvolta capita che all’interno dell’Istituto si tengano delle lezioni di Storia dell’Arte (come dicevo, infatti, nel carcere di Spoleto esiste l’Istituto d’Arte) e io partecipo in qualità di tirocinante. Subito dopo pranzo, studio, fino alla sera tardi. E comunque potrei uscire dalla cella, poiché a Spoleto le celle sono aperte dalla mattina fino all’ora di cena».

Cosa si rimprovera?

«Ho sottovalutato certi comportamenti e atteggiamenti che ho avuto in passato. Mi sono illuso che non sarei stato condannato poiché il reato per cui sto espiando la pena, fino al 1993 non contemplava una condanna. Oltre a ciò sicuramente mi rimprovero l’assenza dalla famiglia e il fatto che mio figlio sia cresciuto senza di me».

La legge è uguale per tutti?

«Formalmente la legge è uguale per tutti, ma non tutti siamo uguali per la legge».

Ha modo di seguire le vicende sarde stando in carcere a Spoleto?

«Sì, certamente, oltre ad avere l’abbonamento alla Nuova Sardegna e all’Ortobene, i parenti e gli amici mi tengono costantemente informato. Ho frequenti contatti epistolari e telefonici e questo per me è molto importante».

Quando tornerà a Nuoro, libero cittadino, cosa si aspetta di trovare?

«Spero di trovare una città dove, dopo la forte crisi economica, peraltro comune a tutta la Penisola, si possa intravedere una ripresa economica. Quando sento parlare della crisi mi allarmo e mi viene da pensare a come era la nostra piccola città quando, nel 1995, sono stato arrestato. Nei giornali non si legge altro che di licenziamenti, fabbriche che chiudono e tutto questo vuol dire disoccupazione. Ogni tanto mi capita di fare dei raffronti con l’Umbria e mi sembra che qui la crisi sia meno pressante. Oltre a ciò mi piacerebbe molto che al mio rientro i musei cittadini funzionassero, tra cui il Museo della ceramica e la Casa di Francesco Ciusa (che dovrebbero essere a Santu Predu, il mio rione). Spero poi che in città ci sia una maggiore attività artistico/culturale, non nego che è in questo campo che vorrei riuscire a trovare un’occupazione, così da sfruttare la mia laurea. Ma forse questa è un’utopia!».

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