Duemila fedeli al Monte per l’omaggio al Redentore
Dal vescovo e la giunta che salgono in “postalino”, al premio a Zigheddu Calledda i volti e i momenti di una giornata tra fede, pellegrini e il ritorno del “cumbidu”
NUORO. C’è chi, sfidando la pigrizia e abbandonando il conforto del letto, si è messo in moto alle 6 del mattino, chi, come Francesco Zigheddu” Calledda, il percorso lo ha fatto a piedi dalla sua Aritzo, e tutto d’un fiato. C’è chi, come il vescovo Mosè Marcìa, i sacerdoti del capitolo della Cattedrale, e la giunta comunale guidata dal sindaco Andrea Soddu, dopo il pellegrinaggio dell’alba, ha deciso di cambiarsi d’abito, e ripetere il tragitto a bordo di un simpatico “postalino”, l’autobus tanto caro ai nuoresi.
La rosa per Luisa Jerace. Ci sono i componenti del comitato Monte Ortobene che come altri nuoresi e la giunta, lasciano una rosa sulla tomba di Luisa, l’adorata moglie dello scultore della statua del Redentore, Vincenzo Jerace. Ci sono anche i giovani delle associazioni religiose diocesane con la maglietta azzurra, che portano la croce e la statua fino alla cima, e nel frattempo sognano di andare alla prossima giornata mondiale della gioventù. E tutt’intorno, una vera marea di nuoresi, emigrati di ritorno, magari anche solo per un giorno, cavalli e cavalieri, componenti dei cori in costume nuorese.
Eccolo qui, insomma, il vero Redentore numero 115. La vera festa dei nuoresi: quella che abbandona il corteo dei costumi, le polemiche, i flash e i turisti meno sofisticati, e ricalca, invece, più da vicino il vero spirito di più di un secolo fa, quando tutto era cominciato. Quando la statua del Cristo Redentore era stata portata sui carri fino alla cima dell’Ortobene, accompagnata da un folto corteo di donne e uomini in costume.
I mille pellegrini. Centoquindici anni dopo, dunque, ancora tutti lì, con meno costumi e un mucchio di telefonini in più, ma ancora tutti lì, a piedi della statua che domina uno spicchio verde di Sardegna e che sembra abbracciare con il suo sguardo tutta la città. Circa mille fedeli ma non solo, alle 8.15 di ieri mattina, la raggiungono dopo un pellegrinaggio durato due ore. Altrettanti, qualche ora dopo, le renderanno omaggio seguendo la messa centrale della giornata, alle 11, animata dai canti dei cori Su Nugoresu e Ortobene. Quella dove il vescovo Mosè Marcìa, prima che a chiunque altro, si rivolge ai giovani invitandoli a seguire «la via delle beatitudini, un modello di felicità opposto al profitto e al tornaconto». E ai politici presenti, e alle autorità locali, ha rivolto un deciso invito a «migliorare le condizioni nelle quali vivono i nostri giovani».
«La piaga del caporalato». Nella sua predica di ieri, davanti a un migliaio di fedeli – un numero più consistente degli anni passati – il vescovo definisce il Redentore come «la festa di una pazzia, di una vera insensatezza, perché festa di un Dio che ha voluto morire in croce per salvare chi lo stava crocifiggendo». Un po’, aggiunge monsignor Marcìa, come oggi è considerato «pazzo, accogliere i migranti». E allora, aggiunge in modo decisamente provocatorio, «forse è più saggio lasciarli annegare».
E tra tanti passaggi legati alla sacre scritture, il vescovo non dimentica di ricordare una piaga dei tempi moderni alla quale Nuoro non è purtroppo immune: la disoccupazione e, per chi ce l’ha, le condizioni di lavoro. «Condanniamo i sequestri – dice il vescovo – ma la vera schiavitù del terzo millennio è il caporalato e la disoccupazione che genera emigrazione, che genera il relativismo culturale».
Il ritorno del “cumbidu”. E al termine della messa, in tanti apprezzano il ritorno a una tradizione che nel corso degli anni era stata abbandonata: il “cumbidu”, ovvero l’offerta, da parte dell’amministrazione comunale, di un dolcetto, un caffè, e le immancabili bibite, estesa a tutti i presenti, perché organizzata per la prima volta dopo moltissimo tempo proprio dentro il parco dove si è appena conclusa la messa. Un ritorno a una tradizione sentita e diffusa, che i nuoresi hanno premiato con la loro presenza.
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