Paziente morto, processo alle battute finali
NUORO. È arrivato alle battute finali il processo a carico di sei medici di Chirurgia e Rianimazione dell’ospedale San Francesco, accusati di omicidio colposo per la morte del 43enne nuorese Paolo...
NUORO. È arrivato alle battute finali il processo a carico di sei medici di Chirurgia e Rianimazione dell’ospedale San Francesco, accusati di omicidio colposo per la morte del 43enne nuorese Paolo Ivan Porcu, nel novembre 2008. Decesso che, secondo la Procura, fu causato da «negligenza e imperizia» da parte degli imputati, i medici Franco Badessi (allora primario del reparto di Chirurgia dove Porcu si trovava ricoverato), Giuseppe Ruggiu, Pieralba Arba, Giovanni Ruggiu, Riccardo Ugo Cammarota e Domenico Antonio Fais, difesi dagli avvocati Pietro Pittalis, Paolo Tuffu, Marcello Mereu, Giuseppe Luigi Cucca, Enrico Pintus e Andrea Soddu. I familiari di Porcu, costituiti parte civile, sono invece tutelati dall’avvocato Martino Salis. Ieri di fronte al giudice Manuela Anzani, è comparso in veste di testimone l’infermiere Giovanni Galanti, che nel 2008 prestava servizio nel reparto di Rianimazione. L’11 agosto del 2008, fu lui che, insieme al medico di Rianimazione Pieralba Arba, intervenne dopo la chiamata arrivata da Chirurgia quando Porcu fu colpito da un arresto cardiaco. Rispondendo alle domande della difesa, il testimone ha spiegato che, arrivati nella stanza del paziente, trovarono personale del reparto che aveva già iniziato a praticare l’ossigenazione e il massaggio cardiaco. «Quando ci sostituimmo a loro ci rendemmo conto che il paziente era in Pea, cioè risultava attività elettrica nel cuore, ma non il polso». Il medico e l’infermiere intubarono Porcu e continuarono con le procedure mediche del caso e facendo anche iniezioni di adrenalina, che però non riattivarono la normale funzione cardiaca. A quel punto si decise di trasportare Porcu in Rianimazione. Ma una volta arrivato in reparto, il cuore del paziente passò dallo stato di Pea a quello di fibrillazione ventricolare e quindi fu necessario praticare la defibrillazione. Interventi che però non riuscirono a salvare la vita a Ivan Porcu, che morì tre mesi più tardi senza aver mai ripreso conoscenza. Secondo l’accusa i medici avevano sottovalutato le condizioni di salute del paziente, ricoverato per «occlusione intestinale secondaria ad una raccolta ascessuale da diverticolite di Meckel associata a una peritonite diffusa», ma affetto anche da un'alterazione della funzionalità cardiaca, riscontrata già in Pronto soccorso. Per la Procura e la parte civile non furono adottate le procedure necessarie, come portare da Rianimazione un defibrillatore o, altrimenti, trasportare subito il paziente in quel reparto. Non così per la difesa, secondo cui, nello stato in cui fu trovato Porcu, tutti gli interventi praticati sono quelli previsti dalle linee guida. (f.c.)