La Nuova Sardegna

Nuoro

La Cassazione: «Rocca è il mandante»

La Cassazione: «Rocca è il mandante»

Gavoi, delitto Dore: la Suprema corte deposita le motivazioni della sentenza 

08 dicembre 2019
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GAVOI. Per i giudici della prima sezione della Corte di cassazione, nella sentenza d’appello che nel settembre dell’anno scorso ha confermato e reso definitivo l’ergastolo, come presunto mandante del delitto di Dore Dore, all’allora marito Francesco Rocca, non ci sono sbavature, né questioni che meritassero l’annullamento della condanna. Sulla colpevolezza del dentista gavoese, dunque, anche per la Suprema corte, non ci sono dubbi: lo ha spiegato nelle motivazioni della sentenza di terzo grado che ha depositato negli ultimi giorni, dopo più di un anno dalla pronuncia. Si chiude così, dal punto di vista processuale, una vicenda dolorosa e piena di strascichi, cominciata in una piovosa sera di marzo di ormai undici anni fa. La casalinga gavoese, infatti, era stata trovata morta, incerottata dalla testa ai piedi, nel portabagli della sua auto, al’interno del garage di casa, in via Sant’Antioco, poco dopo l’una di notte del 27 marzo 2008, ma l’aggressione che l’aveva portata alla morte risaliva ad alcune ore prima, il 26 marzo, quando aveva appena fatto ritorno a casa, insieme alla sua figlioletta di otto mesi. Il marito di Dina, Francesco Rocca, venne arrestato dalla polizia, coordinata dalla Dda, cinque anni dopo come mandante del delitto, al termine di un’indagine complessa, dove non sono mancati lettere anonime, testimoni emersi dopo anni, accuse, veleni e tanto dolore. Tre gradi di giudizio, dunque, hanno confermato che Francesco Rocca è stato il mandante dell’omicidio della moglie, mentre come esecutore materiale del delitto, è stato condannato, con sentenza definitiva, il giovane gavoese Pierpaolo Contu. Rocca, dal canto suo, si è sempre dichiarato innocente e in più occasioni, anche attraverso il suo collegio difensivo costituito dagli avvocati Mario Lai, Angelo Manconi e Franco Coppi, ha ricordato che finora non è mai stato attribuito a chi appartenesse il Dna trovato all’interno del garage del delitto.

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