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Nuoro

Storie maledette, l’ira dei Dore

Storie maledette, l’ira dei Dore

I familiari della donna uccisa dopo l’intervista al marito in carcere: «C’è un unico punto di vista, il suo»

09 giugno 2020
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GAVOI. Un milione e mezzo di spettatori hanno seguito in prima serata il faccia a faccia tra la giornalista Franca Leosini e Francesco Rocca, il dentista condannato con sentenza definitiva al carcere a vita per l’omicidio della moglie Dina Dore nel 2008. Un confronto serrato, com’è nello stile della conduttrice, con dialoghi franchi ed espressioni spesso colorite che si è protratto per due ore, ripercorrendo movente e fasi del delitto, almeno secondo la verità processuale, peraltro ribadita in tre gradi di giudizio, alla quale Leosini ha fatto costante riferimento. Rocca dal canto suo ha continuato a ribadire la propria innocenza, e ha annunciato che con i suoi legali punta alla revisione del processo e a un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’ergastolano – rinchiuso nel carcere di Alghero – continua a ribadire che il Dna trovato dagli inquirenti sul luogo del delitto non corrisponde a quello di Pierpaolo Contu, all’epoca minorenne, che avrebbe compiuto l’omicidio per motivi passionali su sua commissione. E, certo paradossalmente, il dentista si augura che «sia fatta finalmente giustizia per Dina».

La puntata ovviamente ha sollevato numerose reazioni. A cominciare dalla sorella della vittima, Graziella Dore. «Due processi e sei diverse corti di giustizia, tre per ogni processo, hanno tratto le stesse conclusioni, condannando due persone per l'omicidio di mia sorella, credo che non ci sia niente da aggiungere. Quanto al Dna, sono stati prelevati campioni di diversi ceppi parentali di Gavoi e sono stati analizzati gli studi del consulente della difesa e quelli del perito della Corte d'assise di Nuoro. Studi che hanno portato alla sentenza che conosciamo». Graziella Dore, che si occupa della figlia 12enne della vittima, infine ha precisato: «Non ci risulta che la bambina abbia detto, come sostiene il padre, che non vede l'ora di compiere 14 anni per andarlo a trovare in carcere, perlomeno non lo ha mai fatto negli ultimi due anni».

Contesta il programma anche l’avvocata Annamaria Busia, legale dei Dore, che vede nella ricostruzione dei fatti un unico punto di vista: quello dell’imputato. «Storie Maledette – dice Busia – ha concentrato l'attenzione sul punto di vista del condannato e sulla necessità della revisione del processo, senza una ricostruzione fedele degli atti che hanno portato a una sentenza all'ergastolo passata in giudicato e senza che comparissero adeguatamente le vittime. Rocca in trasmissione ha potuto dare dei bugiardi ai testimoni, ha dileggiato quella povera ragazza che è stata la sua amante, si è fatto beffa delle vittime e ha dato degli incompetenti agli inquirenti. Per me è veramente troppo considerato che stiamo parlando della televisione pubblica». Contestazioni che hanno portato a una precisazione della conduttrice Leosini: «Alle vittime dedico sempre il massimo, doveroso rispetto, ma il format di Storie maledette non contempla la partecipazione dei parenti, né degli avvocati di parte civile».

L’avvocato Mario Lai, il legale che ha difeso Francesco Rocca in tutti i tre gradi di giudizio (in Cassazione insieme con l’avvocato Franco Coppi, in primo grado e in appello con l’avvocato Angelo Manconi), interpellato dalla Nuova ha ribadito quelle che ritiene le profonde carenze nelle indagini e i misteri lasciati insoluti dal processo, cioè il fatto che il Dna dell’assassino (Ignoto 1) non corrisponda a quello del giovane condannato. «Stiamo lavorando a un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo – ha detto Lai – e cercando elementi e prove per chiedere la revisione del processo». Lai ha ricordato che di fronte a una prima archiviazione delle indagini, 4 anni dopo il delitto, fu il padre del dentista a chiedere all’allora ministro dell’Interno Pisanu che l’inchiesta venisse riaperta per fare piena luce sul delitto. (p.me.)

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