La Nuova Sardegna

Nuoro

Cherubini vuole la revisione del processo

di Simonetta Selloni
Cherubini vuole la revisione del processo

L’uomo è all’ergastolo per l’omicidio della moglie Maria Pina Sedda, uccisa 18 anni fa, nella cantina di casa a Nuoro

16 settembre 2020
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NUORO. Tre tracce di sangue, un profilo genetico inedito la cui individuazione potrebbe far rileggere la cronaca di un omicidio e di un processo. A distanza di 18 anni il “delitto di via Fiume” approda di nuovo in una sede giudiziaria. Sarà depositata domani in Corte d’appello a Roma la richiesta di revisione del processo nei confronti di Gianfranco Cherubini, 59 anni, vedovo di Maria Pina Sedda, l’impiegata dell’Ufficio del Registro di Nuoro, originaria di Gavoi, uccisa fil 23 luglio 2002 nella cantina della casa a Nuoro. Per il delitto della donna, che aveva 42 anni e un grave deficit uditivo, è stato condannato all’ergastolo Cherubini. Ora, nuovi accertamenti getterebbero una luce diversa sull’intera vicenda, requisito perché si possa presentare una domanda di revisione del processo, i supplementari che l’ordinamento giudiziario concede dopo la sentenza definitiva. A presentare le nuove prove saranno Davide Cannella, investigatore noto per esser stato consulente di parte di Pietro Pacciani e Mario Vanni nel processo al “mostro di Firenze”, e Eugenio D’Orio, genetista forense, procuratori speciali di Cherubini assieme al suo legale, l’avvocato Luigi Alfano. L’istanza poggia sull’analisi delle tracce ematiche rilevate nel percorso a ritroso dalla cantina, in cui Maria Pina venne ritrovata (dal marito, che diede l’allarme), fino alle scale e verso la via di fuga. Quelle tracce, secondo Cannella, D’Orio e Alfano, potrebbero essere ascrivibili al vero assassino di Maria Pina Sedda. A suo tempo vennero esaminate, ma il quesito richiesto al perito si era limitato a capire se fossero o meno della vittima. Non lo erano, perché il Dna aveva il cromosoma Y che dimostra come fossero necessariamente di un uomo (una donna ha i cromosomi XX). «Ma non venne chiesto al perito se quel sangue appartenesse a Gianfranco Cherubini», dice Eugenio D’Orio. Ora, 18 anni dopo, il genetista può affermare con sicurezza che le tracce ematiche «Non erano di Cherubini, da me sottoposto alla prova del Dna». E allora, a chi appartenevano? La difesa di Gianfranco Cherubini ritiene che siano dell’omicida, e che questo elemento potrebbe scagionare un uomo che ha davanti a sé la prospettiva del carcere a vita. Ora, disponendo del profilo genetico, si può pensare di risalire all’identità dell’uomo che lasciò le tracce. «All’epoca non c’era una banca dati del Dna, ora c’è ed è a disposizione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – prosegue D’Orio –. Se la Procura generale ci autorizza ad accedere, penso che si possa risalire all’assassino». E scagionare Cherubini. Lui si era sempre proclamato innocente. Se venisse accolta la richiesta di revisione, potrebbe avere una opportunità per provare a dimostrarlo.

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