La Nuova Sardegna

Nuoro

«Ci mancano il cibo e una casa»

di Francesco Pirisi
«Ci mancano il cibo e una casa»

I risultati di un’indagine delle Acli nel territorio su 500 persone: il 78 per cento ha bisogno di alimenti

03 ottobre 2021
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NUORO. La pandemia ha manifestato i suoi effetti più pesanti nelle aree non ricche come il Nuorese. Il disagio, nuovo solo in parte, è di carattere socio-economico, ma anche morale. Le Acli provinciali garantiscono di averne una prova attendibile, perché testata da poco sul campo. Un lavoro con interviste che hanno coinvolto poco meno di 500 cittadini del territorio. Gli è stato dato il nome di “Rete per la speranza”, perché indica i mali, i rimedi multipli che sono stati attivati e anche alcuni aggiustamenti negli aiuti sinora concessi: «Più interventi mirati a uno scopo, come quelli che abbattono il costo degli affitti – si legge nel report – e meno contributi a fondo perduto, senza un vincolo di utilizzo». Prima del fondamentale sguardo al futuro, occhio a quello che l’indagine ha rivelato per la provincia di Nuoro nel tempo segnato dalla pandemia. Il dato più importante è un concetto, che vale per il Nuorese, come per tante altre parti d’Italia: «Nell’esame se sia stata indigenza, povertà o miseria – è l’analisi delle Acli nuoresi – ha la meglio quest’ultima condizione, in quando si è trattato di una povertà diffusa in una parte rilevante della popolazione». Il concetto lo si può anche scomporre e ottenere un altro elemento utile per comprendere meglio la situazione: «La povertà economica è l’aspetto più evidente, debilitante e immediato – si legge ancora – insieme si è avuta la difficoltà di reperire informazioni esaustive e corrette sulle soluzioni possibili». Ma eccole in concreto le sofferenze e i problemi cresciuti nel tempo della pandemia. Segnalati dagli stessi intervistati, sia che fossero i diretti interessati, o i loro amici o i parenti. La mancanza di cibo quotidiano è stata segnalata dal 78 per cento. La metà ha invece parlato del disagio di non avere un’abitazione o non poterla affittare. Un altro tra i mali (presente nel 38 per cento del campione) la mancanza di un lavoro e, quindi, di un reddito. C’è stata anche una piccola percentuale, ma significativa (il 5 per cento) che ha ricordato come chi vive nell’indigenza non possa permettersi di studiare, «con una futura difficoltà a poter cambiare la propria condizione sociale». Tra l’intervento pubblico e quello di tanti sodalizi privati, in provincia si è incuneata l’azione delle Acli, sin dal momento in cui gli effetti della pandemia hanno mostrato il loro volto più duro, nel gestire la stessa quotidianità. Il presidente provinciale, Salvatore Floris: «Abbiamo fatto nostro il concetto che non basta l’empatia, per dare delle risposte, ma adoperarsi in prima persona, così da migliorare le condizioni da cui sono generate la sofferenza e l’ingiustizia». Per questo l’allestimento negli uffici di via Leonardo da Vinci di un centro di consulenza gratuita sui diritti delle persone in condizioni di disagio, per fornire orientamento e accompagnamento. Il supporto morale e mentale, invece, grazie uno sportello psicologico, costruito con la professionalità di uno psicologo. Le Acli sono andate anche nelle scuole cittadine, per donare 16 tablet agli studenti meritevoli e senza risorse, dopo avere avuto piena consapevolezza che l’emergenza aveva accresciuto il “digital divide”, ossia la disparità nel poter godere e impiegare gli strumenti della comunicazione digitale.

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