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Il processo

Nuoro, badante infedele: la difesa chiede l’assoluzione


	Il palazzo di giustizia di Nuoro
Il palazzo di giustizia di Nuoro

La donna di Lula è accusata di aver prelevato del denaro dal conto dell’anziana di 90 anni che accudiva

23 novembre 2023
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Nuoro «Carmen Calia non ha commesso il fatto. Dall’istruttoria dibattimentale, tutta a favore dell’imputata, è emersa chiaramente la sua innocenza. Piuttosto occorrerebbe valutare attentamente le dichiarazioni rese dalla persona offesa, la signora Maria Grazia Ladu e verificare attendibilità e veridicità delle sue dichiarazioni». Il processo davanti al giudice Claudia Falchi Delitala, a carico della badante di Lula accusata di aver prelevato dal conto dell’anziana 90enne che assisteva circa 7mila euro, è proseguito con l’arringa dell’avvocata Emilia Fois che per oltre un’ora ha ripercorso i punti salienti dell’istruttoria con l’intento di smontare l’impianto accusatorio, e ribaltare le richieste del pm Francesca Pala che alla fine della requisitoria aveva chiesto la condanna dell’imputata a 1 anno e 4 mesi.

«La Ladu, vittima di una serie di ammanchi, sia dalla cassaforte, sia dal conto corrente, sentita in aula aveva raccontata di essersi recata alle Poste con Calia, in un giorno non precisato, e di averle chiesto di digitare il pin. Siccome il codice era facilmente memorizzabile aveva avuto il sospetto che potesse essere stata lei ad effettuare alcuni prelievi. In realtà – ha aggiunto l’avvocata – pochi minuto dopo, l’anziana aveva dichiarato di aver deciso di cambiare il posto dove conservava la carta, non certo perché non si fidasse della badante, che considerava più che una figlia, bensì di qualcun altro». Gli ammanchi dal conto dell’anziana (parte civile con l’avvocato Francesco Porcu) erano iniziati a fine di settembre 2019. Quattro i prelievi da 600 euro, che costantemente si erano ripetuti anche a ottobre, novembre e dicembre. Solo l’ultimo di dicembre era stato di 100 euro, e anche il solo ad essere stato immortalato dalle telecamere delle Poste.

«Un comportamento seriale da parte del prelevante – ha aggiunto l’avvocata – che certamente non poteva essere attribuito a Carmen Calia, visto che da settembre fino a novembre non aveva lavorato perché aveva avuto un bambino. Eppure i sospetti erano ricaduti su di lei, nonostante anche il figlio della donna conoscesse il pin della carta. Secondo l’accusa, l’imputata aveva potuto prelevare assentandosi anche pochi minuti dal lavoro. Ma non viene spiegato come una delle operazioni, quella del 1° dicembre, sia stata fatta di domenica, e quella successiva, del 2 dicembre, risalisse alle 7.52 della mattina. In teoria Carmen Calia avrebbe dovuto avere con sé la carta della signora Ladu nei giorni e negli orari fuori dal lavoro. In questo processo – ha aggiunto l’avvocata Fois – non c’è alcun elemento che attesti che la Calia conoscesse i punti dove l’anziana nascondesse il bancomat. Certo è, invece, che ad essere immortalata dalle telecamere non è l’imputata. Il soggetto non era stato mai individuato neppure dai carabinieri. Inoltre, quella che per l’accusa è la prova regina, di fatto è stata smentita dalle immagini. La Renault Clio che viene attribuita all’imputata non è quella in uso a lei. Le telecamere, infatti, riprendono un’auto ferma davanti alle Poste con le ruote normali, prive di borchie. Quelle della vettura del compagno dell’imputata hanno questo particolare. Carmen Calia, inoltre, per andare a lavorare non aveva bisogno di usare la macchina. La casa della signora Ladu distava dalla sua appena 50 metri». Sentenza il 14 dicembre. (k.s.)

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