La storica sarta di Lodè tzia Adelina: «Mai avuto neppure un’influenza»
A 89 anni ripercorre la sua vita: salute di ferro e tanta passione per il cucito
Lodè È sempre indaffarata, non si ferma un’istante. Parla, e parla che è una meraviglia, tzia Adelina ’e Minore. La sua voce squillante la senti ancora prima di bussarle in casa, a due passi dalla vecchia muntenedda de su Oglie, rione sa Contza. Narra la leggenda che qui, da queste parti, abbia preso vita il primo nucleo abitativo di Lodè. Ora c’è lei, tzia Adelina, preziosa depositaria della memoria collettiva. Sempre sorridente, sempre disponibile e positiva. Lei, all’anagrafe Raffaela Adelina Contu, nata a Lodè il 24 ottobre del 1935, storica sarta del paese, che ne ha passate di cotte e di crude, che ha vissuto i tempi del duro lavoro per sbarcare il lunario, lei che ha sempre goduto di ottima salute. Forte di una fede incrollabile in Dio, augura a chiunque la incontri «a bos colare sa vita mea, francu sos anneos». Vi auguro il bene della mia vita, salvo gli affanni e le sofferenze che la vita riserva. «Mai avuto un’influenza, mai preso né una pastiglia né uno sciroppo» giura. «Solo qualche anno fa ho visto per la prima volta l’ospedale» racconta. Eppure ha avuto ben dieci figli.
Aveva 84 anni quando è finita al “San Francesco” di Nuoro. Ci sono voluti il medico di famiglia Giovanni Maria Serra e l’allora parroco don Alessandro Muggianu per convincerla che doveva affidarsi alla scienza: era in pericolo di vita, sarebbe morta di lì a poco. Racconta di aver sognato un angelo custode, e quell’angelo custode l’ha trovato ad aspettarla in un reparto dell’ospedale barbaricino. Tzia Adelina è rinata, «m’ant torrata a bita» dice lei con un sorriso grande così e gli occhioni spalancati mentre tira fuori la camicetta, sa bruja, che ha indossato per il suo matrimonio e rigira la fede d’oro che tiene con orgoglio all’anulare.
Era il 27 giugno del 1954. Lì per lì, soldi non ce n’erano. «Avevo un anello di ferro» ride. A portarla sull’altare era stato Salvatorangelo Carta, lodeino anche lui: classe 1927, uomo di campagna prima, minatore a Lula poi. «Volevo comunque la fede nuziale d’oro. E visto che già facevo la sarta, ho confezionato e venduto dodici brujas: il tanto giusto per i grammi d’oro necessari per il mio anello». Tzia Adelina ricorda ancora oggi i soddos e i francos che ci sono voluti per acquistare il gioiello dell’eternità. Fa di conto che inseguirla è davvero difficile. Eppure, non ha frequentato neanche la prima elementare. «Da lu credo!» ironizza. «Come no!». «Mi avevano iscritta alle elementari, ma dopo qualche mese era arrivata mia madre e mi aveva portato via dalla classe: da quel momento dovevo andare a cochere». Ad aiutare altre donne, lei bambina, a sfornare pane carasatu. E a lavare i panni, quando si lavava nel fiume. Nel frattempo, ha iniziato anche a cucire. «Vedevo come faceva comare Jacumina... ».
Doveva addirittura salire in d’unu banchiteddu de erula, uno sgabellino di ferula, per poter osservare meglio ago e piedino premistoffa delle prime macchine Singer e poi delle Necchi, «sempre a pedale». Tzia Dorandina, la madrina, e Bustiana ’e Manzela sono state grandi maestre. «Per comprare la mia prima macchina da cucire ci sono voluti dieci cartos de tricu come anticipo». Lavoro e ancora lavoro, per tzia Adelina ’e Minore, primogenita di Salvatorangelo Contu e di Epifania Loddo. Lei, Raffaela Adelina, che di figli a sua volta ne ha messo al mondo dieci, tutti a Lodè, «senza mai aver fatto una visita medica» ribadisce. Fa l’elenco: Sebastiano, del 1954, «è morto il 5 giugno del 1993»; Lucia, del 1956, «è morta che aveva meno di sei mesi»; Maria Lucia, del 1959, «è morta che aveva solo un giorno»; Gennaro, del 1962; Massima, del 1964; Annunziata, del 1966; Antonietta, del 1967; Giovanna, del 1969; Domenica, del 1971; Franco, del 1974. L’ultimo figlio, dunque, è nato quando tzia Adelina aveva 39 anni. A 57 anni è rimasta vedova. Ma non si è mai persa d’animo. «Deus est semper addainnantis» testimonia, per dire che Dio è sempre presente. Una passione sconfinata per i costumi sardi, nella sua lunga carriera ha vestito l’intero paese con gli abiti tradizionali, sia maschile sia femminile. «Questo era su puntu cotu» sottolinea, mentre indica le rifiniture di un vecchio curitu, il corpetto. Non ha neppure bisogno degli occhiali da vista. L’unica necessità è la recita del rosario. «Ne dico cinque, sei, ogni sera, quando vado a dormire, verso le 23,30» racconta. La sveglia, per lei, suona tutte le mattine alle 5,30.