La storia millenaria in cerca di visibilità
Dopo le recenti scoperte riemerge con forza la necessità di valorizzare adeguatamente il ricco patrimonio archeologico
OLBIA. Sanno bene di trovarsi in un posto che gronda di storia, ma la loro passeggiata si trasforma presto in una inconcludente caccia al tesoro. I turisti che invadono la città camminano quasi alla cieca alla ricerca di un pezzo di storia da ammirare e fotografare. Ma il più delle volte restano delusi e insoddisfatti. Il problema numero uno è questo: l’Olbia millenaria è quasi tutta sottoterra. E ciò che è rimasto deve fare i conti con incuria, pochi soldi e scarsa lungimiranza. La valorizzazione del patrimonio archeologico è il punto debole di una città che non riesce a raccontare la sua storia neanche ai suoi abitanti, figuriamoci ai turisti. Proprio qualche giorno fa il passato è tornato a rinfacciare il suo antico splendore. In via D’Annunzio sono spuntati i resti di sei tombe romane e un pezzo delle mura di cinta cartaginesi. Teschi e blocchi di granito che hanno come suonato l’ennesima sveglia a una città da sempre particolarmente distratta. Qualcosa, però, sembra muoversi. L’amministrazione ha preso l’impegno di rilanciare i musei e mettere in rete i siti sparsi nell’agro.
I due musei. Il caso più eclatante è quello del museo sull’isola di Peddone. Inaugurato tre volte, ospita solo due delle 24 navi romane trovate nel 1999. Un patrimonio che nessuna città al mondo può vantare. La realtà parla di un museo senza gestione, dove non si paga neanche il biglietto, e con pochi reperti in esposizione. Ora l’assessore alla Cultura Sabrina Serra si sta muovendo per farlo diventare un museo vero e proprio, mettendo innanzitutto a norma il ponticello. Inoltre sono stati presi i primi contatti per inserire la struttura nei circuiti museali. Poi c’è il museo sotterraneo di San Simplicio, dove si potrebbero ammirare parte della necropoli e la rampa di accesso del tempio di Cerere. È stato aperto solo due volte, sempre durante la festa di San Simplicio, richiamando migliaia di visitatori. Al momento è chiuso e la sua porta è stata trasformata in una sorta di bagno pubblico. Pure in questo caso il Comune si è impegnato a renderlo fruibile e ha incontrato la Soprintendenza, che ha in mano la struttura.
Il centro città. La storia olbiese si trova quasi tutta sottoterra e basta fare una buca per imbattersi in tombe e lastricati. Impossibile far combaciare le esigenze del presente con i resti del passato. Ma forse si sarebbe potuto fare di più. Davanti al Comune, per esempio, nel 2007 è venuto fuori quello che dovrebbe essere il foro romano. Tutto è stato prontamente seppellito, tranne una piccola porzione che non gode neanche di un cartello informativo. In via Regina Elena, invece, era stato scoperto il quartiere punico, botteghe comprese. Dopo qualche giorno, tutto è tornato sotto le moderne mattonelle di granito. Poi ci sono i vari scandali, come le mura puniche tra via Acquedotto e via Torino: la cortina e la base della torre difensiva sono prese di mira da improbabili writer. Zero illuminazione e zero videosorveglianza. In via Canova, invece, ci sono i resti dell’acquedotto romano. Più che altro sembrano cumuli di calcinacci. Neanche un cartello.
I siti esterni. Il pozzo sacro di Sa Testa e l’acquedotto di Cabu Abbas sono ben tenuti e il verde attorno è curato. Ma i due siti, come tutti gli altri, non sono gestiti da professionisti, come invece accade con successo nella vicina Arzachena. Quindi niente guide e spiegazioni sul campo. Il castello di Pedres, che domina l’agro olbiese, è semi abbandonato. I vandali (non i barbari) si sono arrampicati fin quassù per pasticciare muri e rocce. A pochi metri c’è la bella tomba dei giganti Su Monte e S’Ape, ultimamente molto frequentata, ma non è gestita neanche durante l’estate. Non mancano i casi limite. Il primo è il villaggio nuragico Belveghile, l’unico ben conservato di tutta la piana olbiese. Non lo conosce nessuno perché circa 25 anni fa ci hanno costruito un cavalcavia esattamente sopra, per collegare la circonvallazione nord con la strada per Golfo Aranci. Poi c’è il castello di Sa Paulazza, a Monte a Telti, di epoca bizantina. Esistono ancora i bastioni, più un ingresso che rischia di crollare. Per raggiungerlo bisogna entrare in un terreno privato e imbattersi nella fitta vegetazione.