La Nuova Sardegna

Olbia

La storia: botte e umiliazioni, i fascisti a Olbia

di Dario Budroni
La storia: botte e umiliazioni, i fascisti a Olbia

25 aprile, l’Anpi ricorda gli olbiesi che non si arresero e combatterono il regime

25 aprile 2020
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OLBIA. La caccia al sovversivo cominciò di primo mattino. La città era ancora mezza addormentata quando 118 fascisti sbarcarono al porto per dirigersi verso il centro abitato. Camicia nera, moschetto e rivoltella, nel giro di poche ore fecero tutto quello che sapevano fare: picchiare, insultare e umiliare. L’obiettivo era uno soltanto: dare una lezione ai socialisti e ai democratici olbiesi a colpi di manganello e a sorsi di olio di ricino. Olbia, che ai tempi si chiamava ancora Terranova, contava infatti numerosi antifascisti. E così il 3 dicembre del 1922, da Civitavecchia, arrivò una squadraccia pronta a commettere qualsiasi tipo di violenza. Alla fine le camicie nere se ne andarono, ma l’antifascismo a Terranova non fu mai davvero estirpato. Alessandro Nanni, popolare capo socialista e uno dei più perseguitati di quegli anni, nel 1952 divenne sindaco della città. Altri olbiesi andarono invece a combattere la Resistenza nel nord Italia. Uno di loro morì: si chiamava Mario Farina e aveva soltanto 19 anni. «Festeggiare il 25 aprile vuol dire ricordare tutto questo. Significa tenere viva la memoria di chi ha lottato, anche a Olbia, per restituire la libertà al popolo italiano» dice Domenico Piccinnu, presidente dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani) gallurese.

Spedizione punitiva. Quello del dicembre del 1922 fu il fatto più violento registrato in quel periodo in città. Poche settimane dopo la marcia su Roma, a Olbia si trovò infatti il modo per mettere in riga gli oppositori del nuovo regime. Così i vari notabili del fascio locale chiesero aiuto agli squadristi del Continente. L’avvocato Antonio Sotgiu, già sindaco socialista nel 1906, padre del famoso penalista Giuseppe e del «giusto tra le nazioni» Girolamo, venne picchiato e portato nella casa del fascio, dove fu obbligato a bere l’olio di ricino. Infine fu trascinato in piazza Regina Margherita, per poi essere umiliato davanti alla folla con altri compagni. Bastonato e purgato anche Mario Cervo, nonno dell’omonimo musicologo. Achille Bardanzellu, repubblicano e medico della Brigata Sassari durante la Grande guerra, riuscì a mettersi in salvo ma venne scoperto alcuni giorni più tardi. Invece Alessandro Nanni, socialista e fondatore della camera del lavoro di Terranova, quel giorno non si fece trovare. Perseguitato per tutto il ventennio, e arrestato ben 28 volte, Nanni era particolarmente odiato dai fascisti, che gli avevano anche dedicato una strofa: «Con la barba di Nanni farem gli spazzolini, per lucidar le scarpe a Benito Mussolini».

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Olbiesi resistenti. Dopo l’8 settembre 1943, diversi olbiesi impugnarono poi le armi per prendere parte alla guerra di liberazione dal nazifascismo. Mario Farina, 19 anni, dei Gruppi d’azione patriottica, fu ucciso dai tedeschi vicino Gorizia pochi giorni prima del 25 aprile 1945. Nella Resistenza anche Stefano Porcheddu, detto Monello, che dopo la guerra fu tra i fondatori della sezione olbiese del Partito comunista italiano. A combattere i fascisti, nella Brigata Osoppo, pure Vincenzo Giovannelli, padre dell’ex sindaco Gianni.

Memoria antifascista. Domenico Piccinnu nel corso degli anni ha realizzato diverse ricerche storiche sull’antifascismo gallurese. Il 25 aprile, festa della Liberazione, è anche per lui una giornata particolare. «In città, durante il ventennio, si sono verificate aggressioni piuttosto violente – spiega –. Olbia, comunque, era antifascista. E ci tengo a sottolineare che qui sono nati e cresciuti uomini di grande prestigio. Penso per esempio allo storico e politico Girolamo Sotgiu, che insieme alla moglie Bianca fu nominato Giusto tra le nazioni per aver salvato dalla deportazione una bambina ebrea, nell’isola di Rodi. È un esempio che la comunità dovrebbe tenere bene a mente».
 

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