Olbia, in strada le famiglie rom che avevano scelto l'inclusione in appartamento
Scaduti i contratti, il Comune non trova case in affitto. La storia di Majkon, Samanta e Monica: ospiti del dormitorio la notte, il giorno lo passano tra il parco e l'auto. Con loro il padre colpito da ictus
OLBIA. Il fallimento delle politiche di integrazione è nella storia di Majkon, Samanta e Monica. Origini rom, orgogliosamente olbiesi. Sono i figli di Pamela, la storica nomade morta tre anni fa.
Cresciuti al campo di Sa Corroncedda, scuole medie in città, i tre fratelli sono stati tra i primi a lasciare con gioia la vita tra roulotte e rifiuti. 18 mesi fa, insieme al padre, sono andati a vivere in affitto in un appartamento. Canone pagato dal Comune, come prevedono i progetti di inclusione sociale legati alla chiusura obbligatoria dei campi rom. Mai nessun problema con il proprietario dell’appartamento e con i vicini, casa restituita in condizioni ottimali.
Da due settimane Majkon, 24 anni, paziente oncologico con una invalidità al 70%, Samanta di 23 e Monica di 26, insieme al padre colpito da ictus che questa settimana dovrà essere sottoposto a un delicato intervento alla testa, sono in strada. «Il mercato immobiliare è chiuso e in sofferenza, ancora di più per queste famiglie», dice rassegnata l'assessore ai Servizi sociali Simonetta Lai.
Pranzo alla Caritas, la notte ospiti del dormitorio comunale. Alle 8 del mattino lasciano la struttura come prevede il regolamento e si spostano al parco dividendosi tra le panchine e la loro auto, una Mercedes vecchio modello satura di bustoni di vestiti e oggetti personali. Il progetto di inclusione si è impantanato tra burocrazia e diffidenza.
Il rischio è che i tre ragazzi debbano tornare alla vita che loro stessi non vogliono fare, in uno dei tanti campi rom abusivi allestiti nelle periferie della città dopo i sigilli a Sa Corroncedda.
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