Stato di agitazione nella casa famiglia
La struttura di via Tre Venezie riaperta dopo 2 mesi di stop I 20 lavoratori rivendicano migliori condizioni contrattuali
2 MINUTI DI LETTURA
OLBIA. Chiusa due mesi fa con i dipendenti a casa e i pazienti trasferiti a Ploaghe, la casa famiglia di via Tre Venezie da qualche giorni ha riaperto i battenti e tra qualche giorno cominceranno a rientrare anche i primi pazienti, tutti sofferenti psichiatrici. La vertenza è però tutt’altro che conclusa: i lavoratori (una ventina in tutto) da ieri sono in stato di agitazione e il sindacato che li rappresenta, la Cisal, ha avviato la procedura di “raffreddamento del conflitto”. Insomma, la trattativa è aperta e sul tavolo ci sono orari, turni, qualifiche professionali e condizioni di lavoro dei dipendenti, che fanno tutti capo alla cooperativa sociale Codess per conto dell’Ats. Il loro, infatti, è un contratto di serie B con differenze salariali insostenibili rispetto al personale che lavora nella sanità pubblica.
La vicenda della casa famiglia di Olbia, chiusa inopinatamente dall’oggi al domani senza una chiara motivazione a parte un generico richiamo alla presunta mancanza di determinate figure professionali nell’organico in servizio. Da qui il trasferimento dei pazienti ricoverati da Olbia a Ploaghe, tra l’altro con condizioni peggiorative, passando da una struttura assistenziale ad alta intensità (Olbia) a una di media intensità (Ploaghe). Tutto questo nell’indifferenza e nel silenzio generale, soprattutto da parte della politica, che ha favorito il declassamento della casa famiglia nella lista nera delle vertenze dimenticate, con grave danno per Olba e per tutta la Gallura, dove con la chiusura della struttura è venuto a mancare un servizio fondamentale.
La trattativa sindacale, tutta in salita per i lavoratori, è condotta dal sindacato Cisal nei confronti della coop Codess e nei confronto del Centro di salute mentale dell’Ats. «La riapertura della casa famiglia – dice Giovanni Piras della Cisal – è un passo importante, ma le condizioni di lavoro e il contratto dei dipendenti sono assolutamente da rivedere. Tra qualche giorno dovrebbero rientrare nella casa i primi pazienti da Ploaghe, ma il servizio non può essere prestato in regime di precarietà. Per questo la vertenza resta ancora aperta e i lavoratori avanzano rivendicazioni sul piano salariale e, più in generale, contrattuale. Bel senso che il loro contratto non è certo appetibile nel quadro del lavoro nel comparto della sanità. Il timore è che quando saranno rientrati i pazienti nella casa c’è il rischio che molti dipendenti siano andati via».(m.b.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA.
La vicenda della casa famiglia di Olbia, chiusa inopinatamente dall’oggi al domani senza una chiara motivazione a parte un generico richiamo alla presunta mancanza di determinate figure professionali nell’organico in servizio. Da qui il trasferimento dei pazienti ricoverati da Olbia a Ploaghe, tra l’altro con condizioni peggiorative, passando da una struttura assistenziale ad alta intensità (Olbia) a una di media intensità (Ploaghe). Tutto questo nell’indifferenza e nel silenzio generale, soprattutto da parte della politica, che ha favorito il declassamento della casa famiglia nella lista nera delle vertenze dimenticate, con grave danno per Olba e per tutta la Gallura, dove con la chiusura della struttura è venuto a mancare un servizio fondamentale.
La trattativa sindacale, tutta in salita per i lavoratori, è condotta dal sindacato Cisal nei confronti della coop Codess e nei confronto del Centro di salute mentale dell’Ats. «La riapertura della casa famiglia – dice Giovanni Piras della Cisal – è un passo importante, ma le condizioni di lavoro e il contratto dei dipendenti sono assolutamente da rivedere. Tra qualche giorno dovrebbero rientrare nella casa i primi pazienti da Ploaghe, ma il servizio non può essere prestato in regime di precarietà. Per questo la vertenza resta ancora aperta e i lavoratori avanzano rivendicazioni sul piano salariale e, più in generale, contrattuale. Bel senso che il loro contratto non è certo appetibile nel quadro del lavoro nel comparto della sanità. Il timore è che quando saranno rientrati i pazienti nella casa c’è il rischio che molti dipendenti siano andati via».(m.b.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA.