Olbia. Il rampino scava nella sabbia ma resta sempre più vuoto. Il vecchio regno degli jogheddadori cammina insomma lungo la via del tramonto: nel golfo olbiese le arselle sono diventate merce rara e solo un maxi piano di ripopolamento riuscirà a invertire una tendenza che rischia di cancellare una tradizione. «Ne sono rimaste pochissime» conferma Raffaele Bigi, il presidente del Consorzio dei molluschicoltori. Le cause sono diverse: si va dalla raccolta selvaggia del passato fino alle alte temperature dell’acqua, passando anche per l’azione devastante dei predatori di larve come bocconi e granchio blu. Una brutta notizia sia per il mondo della gastronomia che per la storia della città, considerato che quello dell’arsellatore è stato un mestiere per decenni praticato da tantissimi olbiesi. Per il resto, nel golfo cittadino le cose vanno decisamente meglio. La stagione delle cozze, che hanno da poco ottenuto il marchio collettivo, si preannuncia positiva. Stesso discorso per le ostriche: se ne producono sempre di più e i risultati, dal punto di vista della qualità, sono piuttosto soddisfacenti.
Cercasi arselle. L’abusivismo del passato (anche se in alcune aree ancora resiste) ha fatto i suoi danni e il resto lo stanno facendo temperature e predatori. «Ormai si producono sempre meno arselle – spiega Bigi –. Si soffre anche per via del cambio climatico: con le cozze riusciamo a intervenire, perché le prendiamo e le portiamo al largo, ma con le arselle no. Vivono infatti sotto terra». Il Consorzio, che raggruppa le sedici cooperative che operano nel golfo, si è così messo alla ricerca di una soluzione. «Ricordiamo che la raccolta è consentita – dice Bigi – solo nelle aree classificate, cioè dall’ Isola Bianca fino al faro. Il resto è abusivo. Stiamo dunque dialogando con Laore e Regione per chiedere l’utilizzo provvisorio di alcune aree dove viene praticato l’abusivismo. L’obiettivo non è la pesca ma il ripopolamento». Un secondo progetto, invece, si basa sull’idea di far crescere le arselle in uno schiuditoio, in una area protetta e quindi fuori dalla portata dei predatori. Il reinserimento dovrebbe invece avvenire soltanto quando i molluschi hanno raggiunto una taglia media. «Per una efficace operazione di ripopolamento – dice Bigi – servirebbe una chiusura totale di un paio di anni. Stiamo parlando di un prodotto di pregio e di grande valore dal punto di vista commerciale».
Le cozze. Il 2023, per le cozze, non è stato un anno da incorniciare. La quantità è restata alta, sempre attorno ai 40mila quintali di prodotto, ma le alte temperature dell’agosto del 2022 hanno causato la perdita del novellame per la stagione successiva. È stato dunque necessario acquistare del nuovo novellame, però mai buono come quello del golfo. «In contemporanea il 2023, sempre per quanto riguarda il novellame, è stato invece positivo – spiega Raffaele Bigi –. Il raccolto è stato soddisfacente, in termini di quantità e di qualità, e questo ci fa ben sperare in vista della stagione 2024». I mitilicoltori devono però ancora fare i conti con i parametri dell’acqua, non sempre nella norma forse a causa dell’attività dei vicini depuratori. Proprio in questi giorni, per esempio, come spesso accaduto in passato, le coop del golfo si sono trovate costrette a bloccare la raccolta in attesa dei risultati delle nuove analisi.
Le ostriche. Se le cozze sono da sempre il prodotto principe del golfo olbiese, le ostriche si stanno nel frattempo ritagliando spazi sempre più importanti. «È un allevamento che è stato ripreso, ma che in realtà è molto antico – sottolinea Raffaele Bigi –. E stiamo ottenendo importanti risultati. L’ostrica prodotta nel nostro golfo è di alta qualità e alcuni soci stanno anche cominciando a esportarla nel nord Italia e anche in Francia. Nel 2023 abbiamo registrato un più 30 per cento: al momento siamo sui 500 quintali all’anno».