La Nuova Sardegna

Olbia

Tribunale

Omicidio di Luras, il racconto dei testimoni: «Le minacce e il colpo alla testa»

di Tiziana Simula

	L'imputato Fabio Malu con il suo difensore Giampaolo Murrighile
L'imputato Fabio Malu con il suo difensore Giampaolo Murrighile

Prosegue in corte d’assise il processo a Fabio Malu, accusato di aver ucciso Davide Unida con il tubo dell’aspirapolvere

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Luras «Ho sentito Davide Unida urlare tre, quattro volte “Se vieni qua, ti taglio la testa”, lo diceva in dialetto. Quando ha visto arrivare Fabio Malu ha preso l’ascia dal cofano della macchina, la teneva in basso. Fabio è tornato indietro e, poi, è ritornato con un tubo in metallo in mano». A parlare in corte d’assise è uno dei testimoni sentiti oggi, 28 ottobre, nel corso del processo che vede imputato Fabio Malu, 33 anni, di Luras, accusato di aver ucciso il compaesano Davide Unida, 37 anni, durante un litigio, colpendolo col tubo di un aspirapolvere.

Tra i due c’erano forti dissapori che andavano avanti da anni, con continue liti e denunce reciproche a partire dal 2013. L’aggressione era accaduta l’8 luglio del 2023 in via Nazionale, la via principale del paese. Unida era convinto che Malu gli avesse rubato le chiavi della macchina. Aveva cominciato a urlare per strada contro di lui. Poi si erano affrontati: Unida con un’ascia in mano, Malu, col tubo di un aspirapolvere. Il testimone, amico di entrambi, rispondendo alle domande del pm Alessandro Bosco, del difensore dell’imputato, Giampaolo Murrighile, e dell’avvocato di parte civile Sergio Milia, ha raccontato ciò che ha visto e sentito quella notte, mentre passeggiava per le vie del paese col figlio piccolo.

«Ho visto Fabio che teneva fermo il braccio di Unida e lo colpiva col tubo», ha detto, proseguendo nel suo racconto, suscitando le contestazioni del difensore dell’imputato in quanto quella circostanza non risultava tra le dichiarazioni che aveva reso ai carabinieri qualche giorno dopo i fatti. Il testimone ha ribadito più volte di averla riferita anche ai carabinieri. Ha raccontato poi di aver visto Unida per terra, e diverse persone che lo soccorrevano e lo facevano sedere su dei gradini, vicino a un bar. «Era vigile, parlava. Poi, è arrivata l’ambulanza», ha detto.

Sono state sentite anche altre due testimoni del pubblico ministero, due sorelle, che quella notte, al rientro da una passeggiata, lo avevano trovato seduto davanti alla loro abitazione. Dopo l’aggressione, il 37enne si era rifiutato di salire sull’ambulanza e dopo essere rimasto seduto per un po’ vicino al bar si era diretto, barcollando, verso casa sua, in via Regina Margherita. Ma si era fermato prima. Le due sorelle l’avevano trovato davanti all’ingresso, sofferente, con la testa appoggiata al muro. Poi, si era accasciato a terra. Erano arrivate tante persone. Era stata chiamata l’ambulanza che l’aveva trasportato all’ospedale Santissima Annunziata di Sassari. Il giovane era morto il 12 luglio, quattro giorni dopo, l’aggressione. «Quando i soccorritori lo hanno messo sulla barella, ho notato che era gonfio nella parte destra della testa», ha detto in aula una di loro. Il processo proseguirà il 18 novembre.

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