Tino Demuro tra politica, vermentino e Aga Khan: «Io, figlio del boom della Gallura»
Il patron di Vigne Surrau ripercorre tutte le tappe della sua vita: «Imprenditore come mio padre, da sindaco mi opposi al Master Plan»
Arzachena Tra botti e calici di cristallo, nel suo personale tempio consacrato all’uva che diventa vino, Tino Demuro ama ricordare quando era ancora un bambino. Il padre, la madre, i fratelli, la campagna gallurese e quella vecchia vigna di famiglia adagiata nella vallata di Surrau, tra Arzachena e Palau. «Ci regalava un buon rosso. E l’uva si schiacciava con i piedi, lo ricordo ancora». Dal carro a buoi alle stelle del Vinitaly, dai primi turisti di Porto Cervo a Peter Gabriel e John Lasseter, creatore di Toy Story, che sorseggiano Vermentino di Gallura nella sua elegante cantina fatta di legno, vetro e granito. Ma in mezzo, nella vita di Tino Demuro, in realtà c’è stato molto altro: le imprese, l’edilizia, la politica, la fascia da sindaco, la Costa Smeralda e anche i no detti al principe Karim Aga Khan. Classe 1950 e orgogliosamente arzachenese, insieme a due fratelli forte anche nel settore dell’edilizia sotto le insegne di Sardares, il patron delle Vigne Surrau incarna piuttosto bene quel dinamismo sempre più diffuso che fa della Gallura una terra capace di andare veloce e lontano. Quasi da zero a cento nel giro di pochi decenni. Ma senza snaturarsi troppo, tenendo bene a mente che è dalla terra che si è partiti e che è proprio alla terra che bisogna assicurare rispetto e riconoscimento.
Tino Demuro, da dove viene la sua famiglia?
«Noi siamo arzachenesi Doc. Anzi, Docg. Le nostre radici sono praticamente tutte qui. Mio padre si chiamava Giovanni e mia madre Maria. Tredici figli in tutto, ma uno morì piccolo. La nostra era una famiglia di imprenditori. Ma attenzione, stiamo parlando del periodo prima della Costa Smeralda: Arzachena, nei suoi 24mila ettari di territorio, non contava più di 5mila abitanti. Mio padre iniziò la sua attività imprenditoriale con un carro a buoi. Caricava le prime merci a Olbia, poi le scaricava ad Arzachena e andava fino a Palau, dove arrivava il bastimento della farina. Dopo la guerra acquistò invece un camion tedesco a muso lungo, mentre ad Arzachena aprì un emporio. Vendeva vino, birra, cemento, ferro, biciclette. Una attività che poi raffinò con l’avvento della Costa Smeralda, dedicandosi all’edilizia, visto che era ancora tutto da costruire, e anche al beverage. Aveva l’esclusiva della Peroni e della San Pellegrino. La nostra storia cominciò così: commercio, trasporto, edilizia. Ogni figlio aveva un suo incarico e pian piano abbiamo imparato la professione».
Imprenditoria, ma anche tanta politica. E tutti democristiani.
«La politica è sempre stata una passione. E sì, eravamo tutti quanti della Dc. L’unico ad abbandonare la Democrazia cristiana fu Ignazio, il mio fratello prete (sorride, ndr). Aveva 15 anni più di me. Partì per fare il missionario in Brasile e tornò con idee rivoluzionarie. Era impegnatissimo nel sociale, anche con la Cgil. Alla fine si spretò e divenne anche padre. Però la Chiesa non la abbandonò mai, restò sempre vicino. Mi piaceva molto confrontarmi con lui».
Una passione, quella della politica, che la portò molto presto a diventare sindaco di Arzachena.
«Dal 1980 al 1985, ero molto giovane. Comunque iniziai ancora prima. A 15 anni andavo ad attaccare manifesti e poi tanta politica anche negli anni dell’università. A 25 anni facevo l’assessore. Ero moroteo e molto legato a Pietro Soddu, che sento tuttora».
E da giovane sindaco si oppose al Master Plan dell’Aga Khan. Non deve essere stato facile.
«Anche se ai tempi ero ancora un ragazzino, io sono uno di quelli che hanno visto nascere la Costa Smeralda. Il nostro territorio passò dall’essere una zona povera a un luogo interessato da un grandissimo sviluppo. L’Aga Khan, che non era solo in quella grande operazione, era una persona eccezionale. Ha creato un capolavoro che dura nel tempo. Ma bisogna anche ricordare che qui ha trovato un ambiente sano: niente mafia, nessun giro di corruzione che può invece manifestarsi quando ci sono investimenti così importanti. Parlando del Master Plan, molti anni più tardi, e cioè quando anche io ero sindaco, la nostra posizione era semplice: non volevamo stravolgere questo territorio con numerosi milioni di nuovi metri cubi. Quindi ci fu lo scontro. Chi ci criticava, diceva: “Nel giro di due anni la Costa Smeralda chiude”. Invece non fu così e la Costa Smeralda oggi vale più di prima. Se fossero passati tutti quei metri cubi, oggi, forse, avremmo avuto un’altra Costa Smeralda. Per noi si trattava di buon senso e la storia ci ha dato ragione. Ma non erano solo scontri, abbiamo fatto anche diverse cose insieme».
Un esempio?
«Pensiamo al Rally Costa Smeralda: non lo voleva nessuno e i pastori si opponevano. Invece noi ci rendemmo conto che si trattava di una manifestazione molto importante. Il rally apriva la stagione turistica e così lo istituzionalizzammo. Dal punto di vista personale, comunque, ritengo di aver sempre fatto il mio dovere istituzionale. Ricordo i grandi pranzi con l’Aga Khan e Gianni Agnelli: io andavo, salutavo e me ne andavo. Ho sempre preferito rimanere con i piedi per terra. Sì, ero democristiano ma cresciuto con Aldo Moro e Martin Luther King. Mandavamo i soldi a mio fratello in Brasile per la raccolta del ferro. Ero un democristiano di sinistra, sentivo di non farci nulla in ambienti che non sentivo miei».
Chiusa l’esperienza da sindaco, il suo percorso politico proseguì poi in Regione.
«Sì, tempo dopo ho fatto l’assessore all’Agricoltura. Un’esperienza breve ma bella, portammo a casa diversi risultati. Proposi anche di far diventare il Vermentino di Gallura una Docg. Erano gli anni di Tangentopoli e, scomparsa la Dc, entrai nei Popolari. Più avanti, invece, contribuii alla nascita del Partito democratico».
Ma oggi è conosciuto soprattutto per essere il patron di Vigne Surrau. Le piace questo ruolo?
«Sì, è un’esperienza che continua a piacermi. E anche tanto. Il nostro settore principale era quello dell’edilizia e, nel 1999, decidemmo di investire anche nel vino, partendo da una vecchia vigna di famiglia. Surrau era lo stazzo di mio padre, sulla strada per Palau. È una terra di buon vino, lì si è sempre fatto un buon rosso. Il nostro obiettivo, comunque, era quello di creare un prodotto di livello ma accompagnato da un buon servizio. La cantina attuale la tirammo su in un terreno già nostro: in realtà, qui, avremmo dovuto realizzare un deposito di Sardares, invece impiantammo la vigna e costruimmo la cantina. Il posto è molto bello: ogni volta che vengo qua, anche prima di Vigne Surrau, trovo un grande senso di pace».
Poi sono arrivati i risultati.
«Quelli sono certamente importanti. Già nel 2005 sono arrivate le prime soddisfazioni al Vinitaly, mentre nel 2017 il nostro Sciala vendemmia tardiva è stato votato come miglior vino bianco d’Italia, sempre al Vinitaly. Siamo partiti con il rosso e oggi il grosso della produzione si concentra sul Vermentino di Gallura Docg. Produciamo 600-700mila bottiglie all’anno, ma non vogliamo andare oltre. L’obiettivo è infatti quello di preservare la qualità. Ma voglio ricordare che Surrau, per me e i miei fratelli, va da sempre anche oltre il vino. La cantina ospita infatti eventi, congressi, appuntamenti culturali, mostre d’arte. È un aspetto fondamentale della nostra storia. In questi tavoli abbiamo più volte accolto anche Peter Gabriel. Lui passa molti mesi dell’anno qui, nella sua casa vicino Cannigione. Ricordo una bellissima serata passata con lui e John Lasseter, della Pixar e della Disney. Fu divertente».

