La Nuova Sardegna

Spese e priorità: l'istruzione crea il futuro

Luca Deidda
Spese e priorità: l'istruzione crea il futuro

18 novembre 2019
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Lavorare in maniera produttiva, avere comportamenti civili, creare cultura, concepire politiche utili a realizzare l’idea di società che una comunità si è data, tutto ciò richiede competenze. Il benessere socioeconomico di un Paese, dunque, dipende dalle competenze del suo popolo. Come siamo messi in Italia? La risposta non è banale, perché misurare le competenze non è facile. Si sa però che sono correlate al livello di istruzione; che quindi è una buona misura. Education at glance, la pubblicazione annuale dell’Ocse è un buon punto di partenza per una valutazione comparativa.

Secondo questo rapporto, siamo tra i membri Ocse meno istruiti; solo il 28% dei nostri “giovani” nella classe 25-34 anni ha una laurea o un titolo universitario superiore. In Korea siamo al 70%, Usa e Uk intorno al 50%; la media Ocse è 47%; i cugini francesi e spagnoli sono ben oltre il 40%. La situazione è meno grigia ai gradi inferiori. In Italia la scolarizzazione è piena (cioè i tassi di partecipazione sono superiori al 90%) già tra i 3 e i 5 anni; con un tasso del 94% contro una media Ocse dell’87%. La scolarizzazione è piena anche se guardiamo alla fascia 6-14 anni. Insomma, partiamo bene e finiamo male; perdiamo molti ragazzi per strada, e questo è grave, perché la letteratura scientifica in materia ci dice anche che le competenze che servono sono quelle frutto dell’istruzione terziaria.

Come mai? Quando si investe, i risultati dipendono da quanto e da come si spende. In un Paese in cui l’istruzione è soprattutto pubblica, poi, questo vuol dire quantità e qualità della spesa pubblica. Quindi, innanzitutto, spendiamo abbastanza? Se prendiamo la spesa complessiva per l’istruzione in generale, la nostra è il 3,6% del Pil, contro una media Ocse del 5%. E spendiamo meno della media Ocse a tutti i livelli di istruzione. Per l’istruzione primaria siamo sotto la media Ocse del 6%; il dato scende al 92% per l’istruzione secondaria, e infine per l’istruzione terziaria c’è un crollo: siamo al 74% della media Ocse. Occorrerebbe approfondire l’analisi, ma a prima vista la risposta è no, non non spendiamo abbastanza. Ci sono pochi dubbi sul fatto che sia così se parliamo di università. Ma c’è anche un problema di qualità della spesa.

Le ricerche di molti studiosi tra cui James J. Heckman, premio Nobel per l’Economia, ci dicono che molte delle competenze utili per completare con successo percorsi formativi a livello secondario e terziario si acquisiscono nell’infanzia; e che l’apprendimento in questa fase è influenzato dalla qualità dei processi formativi così come dal contesto familiare e più in generale dall’ambiente in cui nascono e vivono i bambini. Quindi dovremmo valutare se la qualità della spesa nell’istruzione primaria, e più in generale nel garantire una buona qualità di vita ai bambini e ai nascituri, tutelando e supportando i genitori, sia adeguata.

Da questo punto di vista le misure sugli asili previste in finanziaria vanno nella giusta direzione. Occorre supportare i genitori, fornendogli i servizi utili a consentirgli di occuparsi adeguatamente del benessere dei propri figli nei primi anni di vita di quest’ultimi. Ai gradi d’istruzione superiori, poi, emerge un problema di incentivi. Perché se è vero che anche in Italia laurearsi si traduce in un salario più alto, è però altresì vero che il premio è significativamente inferiore rispetto alla media nei Paesi Ocse. Questo, da un lato, suggerisce che occorre lavorare sulla qualità dei percorsi formativi universitari, anche spendendo di più, certo.

Ma probabilmente c’è anche da fare i conti col fatto che il deficit generalizzato di competenze di chi già lavora fa si che il sistema Italia non sia particolarmente produttivo, ciò che si traduce in salari attesi relativamente bassi per i laureati di domani. E così i giovani hanno meno incentivi a continuare gli studi. Perciò, disegnare opportune politiche che promuovano il “lifelong learning”, l’educazione permanente, per innalzare il livello di competenze di chi già lavora, potrebbe essere cruciale.

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