Carenza della Co2, un paradosso molto istruttivo: è ovunque ma è introvabile
Troppa nell’aria, ma poca nell’industria – IL COMMENTO
Questa torrida estate del 2022 verrà ricordata per la siccità, la nuova ondata di Covid-19, la guerra in Ucraina, l’invasione delle cavallette e le bibite senza gas. La famosa scelta tra liscia o gassata sarà limitata all’acqua naturalmente effervescente o alle bevande a fermentazione naturale. Per il resto la mancanza di CO2 sul mercato potrebbe rendere complicato produrre le bevande gassate che assieme a un po’ di ghiaccio rappresentano un piacevole refrigerio alla calura.
Persino lo spritz in mancanza di soda potrebbe essere in pericolo. Tutto perché non si trova il gas necessario a creare le bollicine nelle bevande. Eppure ci viene continuamente ripetuto che il problema del cambiamento climatico è l’eccesso di CO2 che viene rilasciata nell’atmosfera in gran parte a causa delle attività antropiche, poi scopriamo che non ce n’è neppure abbastanza per produrre bibite gassate. Si può capire la mancanza di terre rare, cobalto, litio ma proprio la CO2 sembra un paradosso.
Il problema è che ogni risorsa naturale va estratta, lavorata e trasportata nel luogo di utilizzo. Sono processi che avvengono in luoghi diversi e che implicano una catena produttiva complessa e articolata, che funziona bene quando tutte le varie componenti si incastrano in funzione della domanda e dell’offerta. La penuria di beni e servizi post-pandemia ha mostrato quanto queste catene di produzione siano in realtà fragili e funzionano solo quando tutte le interconnessioni non vengono improvvisamente interrotte per qualche ragione esterna. Le incontrollabili reazioni a catena innescate dalle sanzioni commerciali, come quelle tra Usa e Cina, o tra occidente e Russia, sono fra queste cause. Per quanto riguarda la CO2 questa viene commercialmente prodotta dall’ammoniaca, un composto chimico molto utilizzato in diversi settori dalla pulizia, alla produzione di materie plastiche.
L’uso principale dell’ammoniaca è nei fertilizzanti, circa l’80% della produzione totale. Il problema nasce dal fatto che l’ammoniaca si produce utilizzando gas naturale per separare il carbonio dall’idrogeno, quest’ultimo viene combinato con l’azoto per ottenere proprio l’ammoniaca, NH3. Il carbonio, che è prodotto nella combustione del gas una volta separato dall’idrogeno si ricombina con l’ossigeno e forma finalmente la CO2 che in questo ciclo è in realtà un sottoprodotto del processo industriale per la produzione dell’ammoniaca. Se il prezzo del gas sale, così succede anche all’ammoniaca e diventa meno conveniente produrla proprio nel momento in cui la domanda di fertilizzanti è bassa, ossia durante l’estate. Durante la stagione estiva quindi la produzione di fertilizzanti è minima e molte fabbriche chiudono per manutenzione, il problema nasce se quasi tutti i produttori decidono di chiudere o limitare la produzione spinti anche dalle condizioni di mercato che hanno portato il prezzo del gas naturale alle stelle. Il clima poi contribuisce molto nel gioco della domanda e dell’offerta, perché un’estate molto calda spinge verso l’alto l’utilizzo di bevande rinfrescanti, tra cui anche la birra.
Nella maggior parte delle birre commerciali viene aggiunta CO2 durante il processo di produzione, a parte quelle a fermentazione naturale. È la CO2 che forma la schiuma e le bollicine, per questo motivo è meglio bere la birra ghiacciata, più bassa è la temperatura e più elevata sarà la quantità di CO2 disciolta, aumentando la piacevolezza al palato. La CO2 però viene utilizzata in molti ambiti dove sono disposti a pagare prezzi più alti, nell’imballaggio alimentare per aumentare la conservazione dei cibi, nella produzione del ghiaccio secco, nella chirurgia mininvasiva, nei processi di litografia dei semiconduttori e per sistemi antincendio. Non sarà forse la necessità di ridurre il numero di spritz e di birre a fare entrare in crisi il mondo, tuttavia conflitti e divisioni non faranno che acuire la penuria di beni e accelerare la distruzione di ricchezza.