La Nuova Sardegna

Vuoto legislativo

La legge che manca, troppe ambiguità sulla fine della vita

di Rosaria Manconi *
La legge che manca, troppe ambiguità sulla fine della vita

Un problema come questo non lo si può affrontare (solo) nelle aule dei tribunali

19 marzo 2023
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In Italia una legge sul fine vita ancora non c’è e nel vuoto legislativo è la magistratura a essere chiamata a decidere se la perdita irreversibile di risposte agli stimoli sensoriali e di consapevolezza di sé e del mondo esterno consenta, o meno, di spegnere i macchinari che tengono in vita chi, come Andrea Manca di Solarussa, si trova da tempo in stato vegetativo irreversibile.

Sarà anche stavolta un giudice a stabilire se prevalga sempre e comunque, in mancanza di una autodeterminazione esplicita del paziente, la necessità di assicuragli le terapie che garantiscono la prosecuzione sine die dello stato vegetativo, oppure se si debba privilegiare la qualità della esistenza umana e la volontà, comunque espressa del paziente. È evidente, tuttavia, che un problema culturale e politico di questa portata non lo si possa affrontare (solo) nelle aule dei tribunali sulla base del confronto interpretativo delle diverse soluzioni giurisprudenziali. Di fronte ad un vissuto di fine vita sempre drammatico, intimo, complesso, l’eterna quanto ambigua contrapposizione tra «sacralità della vita» e «qualità della vita» non può essere risolta affidandosi alla coscienza, al credo religioso, al buon senso ed alla sensibilità del magistrato ma deve essere risolta, una volta e per tutte, sulla base di norme specifiche che il legislatore ha il dovere di adottare. Inammissibile, infatti, che, nonostante le iniziative referendarie e le istanze provenienti dalla società civile, la politica, ancora oggi, pilatescamente abdichi ai suoi precisi compiti lasciando che sia l’ordine giudiziario a risolvere i conflitti etici e morali che paralizzano il dibattito e le soluzioni in ordine al fine vita. Inammissibile, ancora, che sciatteria, paternalismo e ambiguità politica prevalgano sulla dignità della persona e sul diritto primario ad una esistenza consapevole e che i pazienti in condizioni terminali ed inguaribili insieme alle loro famiglie vengano privati del diritto di scegliere. Chi chiede di essere aiutato o lasciato morire non lo fa solo perché le sofferenze e i sintomi della malattia, unite all'assenza di speranza di guarigione, sono insostenibili. Le richieste di questo tipo nascono, in realtà, da un'esigenza di solidarietà materiale e sociale, di servizi, adeguati ai malati in condizioni terminali e ai loro bisogni esistenziali di quella delicatissima, ultima, fase. Ma soprattutto, come nel caso di Andrea Manca, nascono dall’esigenza di porre dignitosamente fine ad una condizione di non-esistenza. E alla infinita sofferenza di quanti gli vogliono bene. In attesa che il Parlamento affronti finalmente il tema non resta che affidarsi alla Costituzione ed al buon uso che i giudici ne potranno fare. L’altra alternativa non può essere che la disobbedienza civile.

* Presidente della Camera penale di Oristano

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