La Nuova Sardegna

La protesta dei trattori

Dalle campagne il malessere verso l’Europa

di Roberto Furesi
Dalle campagne il malessere verso l’Europa

È diventata siderale la distanza tra le istituzioni europee e il mondo degli agricoltori

06 febbraio 2024
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È difficile sintetizzare in poche righe le ragioni che spingono gli agricoltori di mezza Europa – Italia compresa - a invadere le strade e a occupare i palazzi del potere. Il cartello esposto dai manifestanti che, più di ogni altro, mette a fuoco la natura della protesta, recita “L’Europa ci uccide”. Dopo 60 anni di politica agricola comune, votata a sostenere con ingenti mezzi finanziari un settore che stava riposizionando il proprio ruolo economico e sociale nel mondo che cambiava, la percezione di allevatori e contadini è tutta riassunta in quel cartello, che marca una distanza siderale tra le istituzioni europee e la campagna. Significativa, al riguardo, è la contestazione nei confronti delle organizzazioni di categoria, ritenute ormai organiche a tali istituzioni e parte integrante del potere oggetto di contestazione.

È curioso, al riguardo, osservare l’imbarazzo dei nostri leader politici, che cercano di appropriarsi della protesta dei trattori, pur avendo stretto patti d’acciaio proprio con le organizzazioni di categoria istituzionali. Con ciò non si vuole negare alle sigle storiche dei movimenti per l’agricoltura l’impegno profuso nell’indirizzare le politiche europee e nazionali; ciò non toglie che anch’esse debbano fare i conti con questa percezione. Le politiche europee sono ritenute corresponsabili del noto fenomeno della agricultural squeeze, ovvero della strozzatura dei redditi agricoli prodotta, da un lato, dai fornitori di materie prime e mezzi di produzione (come i carburanti), che gravano sui costi, e dall’altro degli acquirenti del settore industriale e del commercio, tesi a comprimere i ricavi. Evidentemente, il modello europeo del mercato unico, nell’era della post-globalizzazione, non è ritenuto più sostenibile.

La difesa del “Made in Italy” rappresenta, al proposito, per il movimento dei trattori un caposaldo imprescindibile, anche se non è chiaro se tale obiettivo debba essere perseguito attraverso politiche protezionistiche o sostenendo l’offerta alimentare nazionale in un contesto mercantile concorrenziale. Il malessere delle campagne è il segnale di una crisi più profonda, che attraversa l’Europa in un’era storica che deve ancora completare la transizione del modello geopolitico globale verso una configurazione multipolare, nel quale il ruolo della protezione e dell’alleanza atlantica si riduce a favore di una molteplicità e multilateralità di relazioni politiche e commerciali, che assegna ruoli fondamentali a nuovi giocatori: Cina, India, Brasile, Corea e tanti altri. Il mondo dei Trattati di Roma non esiste più, e nemmeno quello che aveva fatto da cornice a quelli di Maastricht e Lisbona.

L’Europa stessa, da organizzazione economica di 6 paesi, è diventata via via un esperimento politico dai contorni sempre più incerti condiviso da 27 nazioni diverse tra loro. In tali passaggi la politica ha spesso delegato le proprie competenze e il proprio potere ad altre sfere decisionali, quali quelle dei burocrati e dei tecnici. Si è pertanto sviluppato un modello di governance europea che possiamo definire ormai tecnocratico e burocratico, che ha perso di vista il sentimento della base popolare, da cui si è distanziato in maniera inconsapevole e in misura assai marcata.

I trattori sottolineano questa distanza, chiedendo alla politica di riacquistare la propria supremazia in un riequilibrio di poteri in cui tecnici e burocrati continuano a offrire il loro contributo di competenze ma lasciano le responsabilità di governo ai rappresentanti eletti. Questa virata, sia chiaro, rischia di condurre a derive populiste e sovraniste dall’esito incerto. Per questo, sarà importante verificare come questa istanza di rappresentatività, evocata dalle campagne, ma diffusa in tutte le componenti sociali, sarà declinata e troverà modo di esprimersi alle Europee.

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