La Nuova Sardegna

Oristano

I detenuti: «Questo carcere è un lager»

di Roberto Petretto
I detenuti: «Questo carcere è un lager»

La lettera di un gruppo di 35 ospiti della nuova struttura di Massama descrive una situazione insostenibile

10 gennaio 2013
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ORISTANO. Altro che carcere di alta sicurezza, altro che penitenziario modello: la nuova struttura di Massama «è un lager creato per spersonalizzare il detenuto non per prepararlo a un graduale reinserimento nella società».

La denuncia arriva da 35 detenuti del carcere di Massama che hanno scritto una lettera alla presidente dell’associazione “Socialismo, diritti e riforme”, Maria Grazia Caligaris.Nella lettera i detenuti parlano di una serie di problemi che rendono difficilissima la vita nella struttura inaugurata appena pochi mesi fa.

«Si parla tanto di regimi duri per mafiosi, ma qui il regime punitivo lo subiamo noi», scrivono i detenuti».

L’elenco delle disfunzioni è lungo: «Non funziona la palestra né il campo sportivo né è possibile svolgere alcuna attività ginnica. Perfino il cibo è scarso e per dotarsi di qualche tegame si devono fare acrobazie». Situazione critica anche per il vestiario «ridotto allo stretto necessario». E chi non ha colloqui con i familiari «non può neanche lavarsi i panni in quanto è vietato stenderli».

«Le porte delle celle sono sempre chiuse e spesso vengono chiusi gli spioncini – continuano a raccontare i detenuti –. Anche le docce funzionano solo a tratti e così il riscaldamento. Insomma è vero che il carcere è aperto da poco tempo ma noi non abbiamo colpa e non abbiamo chiesto noi il trasferimento a Oristano».

C’è anche un problema di coesistenza tra diversi tipi di carcerati: «Qui si trovano persone che devono scontare 10 giorni, alcuni mesi o qualche anno insieme ad altre che hanno alle spalle oltre 35 anni di reclusione. Non esiste la socializzazione né nelle celle né nell'apposita saletta».

«È assurdo infine - conclude la lettera - che non si possano acquistare prodotti per la pulizia delle celle. Se queste sono le condizioni in cui siamo costretti a sopravvive allora è meglio che venga ripristinata la pena di morte».

«Le nuove strutture penitenziarie hanno necessità – osserva Maria Grazia Caligaris – di un opportuno periodo di rodaggio durante il quale testare i dispositivi di sicurezza e quelli relativi alla vita comune. La pretesa urgenza di aprire la struttura per rimediare ai danni del sovraffollamento e della vetustà del carcere di piazza Mannu ha determinato gravi disagi».

Disagi che colpiscono non solo i detenuti e a tutti gli operatori ma anche ai familiari: «Doppiamente penalizzati dalle difficoltà per raggiungere un carcere costruito volutamente in una zona isolata. La macchina quindi non funziona e nascondere la realtà non giova».

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