La Nuova Sardegna

Oristano

Massama con troppi “Alta Sicurezza 3”

di Enrico Carta
Massama con troppi “Alta Sicurezza 3”

Mafiosi e terroristi sono 200 su un totale di 260. Il ministero, poi bloccato, voleva mandar via tutti i detenuti comuni

05 maggio 2014
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ORISTANO. Le cassandre forse tali non erano e andavano prese più sul serio. Massama sta diventando sempre più un carcere ad alta sicurezza e, qualche settimana fa, il nuovo penitenziario oristanese ha rischiato di trasformarsi per intero in una struttura di detenzione per soli mafiosi e terroristi. Il Ministero infatti aveva programmato lo spostamento di altri detenuti – ovviamente non sardi e tanto meno oristanesi – in regime di detenzione speciale. Contemporaneamente avrebbero dovuto fare i bagagli tutti i detenuti comuni, che sarebbero stati trasferiti in altre carceri isolane e non, venendo così meno al principio della territorialità della pena, secondo il quale il detenuto deve scontarla più vicino possibile al luogo di residenza della sua famiglia.

Ci sono stati lunghi giorni di mediazione e alla fine il Ministero ha cambiato idea. È una decisione momentanea? Alla domanda ora non si può rispondere, ma il disegno era proprio quello di avere solo affiliati a cosche mafiose e terroristi. Eppure la situazione non è ora molto diversa da quella prospettata. A Massama ci sono 260 detenuti e di questi ben 200 sono in regime carcerario di Alta Sicurezza 3. Non c’è bisogno di calcolatrici per capire che sono la stragrande maggioranza. Dei detenuti presenti in questo momento, 221 hanno alle spalle una condanna definitva. Tra questi c’è anche un internato definitivo. Sono invece 14 i detenuti in attesa del giudizio di primo grado, 9 sono quelli che hanno presentato appello e altri 15 quelli che hanno fatto ricorso contro la misura di detenzione in carcere.

Il totale fa proprio 260, che vuol dire che si è già al di sopra di 20 unità rispetto al numero per cui il carcere era stato costruito. Secondo i piani, Massama avrebbe dovuto ospitare 240 detenuti a cui ne andavano aggiunti altri 10 in regime di semilibertà. Le celle, inizialmente, dovevano ospitare o detenuti singoli o due detenuti. Sta invece già succedendo che in alcune celle i letti da due siano diventati tre. Non si può comunque parlare di sovraffollamento, perché la struttura regge tranquillamente un carico di persone leggermente superiore a quello previsto. Chi non regge invece è il personale di polizia penitenziaria e tutto il resto dell’apparato di dipendenti della struttura carceraria. La situazione rimane quindi carente sotto diversi punti di vista, col problema che è ampliato dalla presenza di un numero altissimo di detenuti in regime di Alta sicurezza 3. Il carcere di Massama, con appena tre educatori, non può certo far fronte ad un numero così cospicuo di detenuti dal passato così particolare e con una pena da scontare attraverso un regime carcerario così severo. Lo psicologo tanto atteso ancora non si vede e non sembra che nelle idee del ministero ci sia la volontà di porre rimedio a questa lacuna. Era stata invece nominata una criminologa, che avrebbe dovuto prestare servizio per venti ore mensili, ma ancora non ha iniziato la sua opera.

Carenze che rischiano quindi di acuirsi nel caso in cui il ministero ritorni alla carica e proponga nuovi spostamenti di detenuti dell’Alta Sicurezza.

Quel che appare certo è che le profezie iniziali di parlamentare, esponenti politici di vario grado e semplici cittadini si stanno avverando. Lo sbilanciamento è notevole e in questi ultimi mesi la direzione del carcere ha dovuto rinunciare anche a dei progetti di recupero dei detenuti, perché diventava necessario farli uscire dal carcere o comunque far sì che questi venissero a contatto con il mondo esterno. Ma in caso di detenzione per reati di mafia o terrorismo questo non è assolutamente possibile.

E così non resta che «Continuare a vigilare – afferma la deputata Caterina Pes –. Gli operatori vanno già incontro a notevoli difficoltà e consideriamo positivo che Massama non si sia trasformato in un carcere interamente per detenuti speciali. La territorialità della pena dev’essere garantita e il rapporto tra carcere e territorio si mantiene solo coi progetti di recupero dei detenuti».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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