La Nuova Sardegna

Oristano

«Possiamo riabbracciare nostro padre»

di Enrico Carta
«Possiamo riabbracciare nostro padre»

Parlano i figli di Saverio De Sario: da bambini accusarono di abusi il genitore che finì in carcere. Poi ritrattarono

15 aprile 2016
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ORISTANO. Un abbraccio da far vedere al mondo. Una foto da mostrare al padre ancora in carcere da innocente. Presto sarà libero e varcherà la soglia di Bancali, ma stavolta con il percorso inverso rispetto a quello che a luglio 2015 l’aveva portato dietro le sbarre. Colpevole per la giustizia e colpevole d’infamia. Colpevole senza aver commesso il terribile reato che gli era stato attribuito da una denuncia falsa e indotta.

La revisione del processo. Così dicevano le carte sino alla decisione della Cassazione arrivata al termine dell’udienza di mercoledì, in cui l’imputato, assistito dall’avvocato Massimiliano Battagliola, si opponeva alla decisione della Corte d’Appello di Roma di non accogliere la richiesta di revisione del processo. Stavolta i giudici hanno detto di sì a Saverio De Sario ed è stata la prima volta in tanti anni, ma è una volta decisiva perché da ora in poi cambia tutto. Nuovi giudici valuteranno la sua posizione processuale, con nuovi elementi per le mani. E sono elementi pesantissimi che non potranno che portare in un’unica direzione, quella dell’assoluzione.

Le accuse ingiuste. La storia di Saverio De Sario, 46 anni di Abbasanta, è divisa in due, ma è rimasta sempre appesa alle parole dei figli Gabriele e Michele. Oggi hanno 24 e 22 anni, nel 2001 erano bambini. Inconsapevolmente accusarono il padre. Ora, con la consapevolezza di chi è in grado di ragionare autonomamente, lo tirano fuori da quel carcere in cui ha trascorso due anni e un mese, tra custodia cautelare e l’ingiusta condanna definitiva.

I figli. Gabriele e Michele De Sario avevano nove e sette anni quando «Nostra madre ci convinse in ogni modo a dire che lui aveva abusato di noi». Chi parla è Gabriele, il maggiore dei due che, nel turbinio delle emozioni ricostruisce la vicenda che la sua mente ha elaborato in tutto questo tempo: «È una bellissima giornata, ci siamo abbracciati e ora attendiamo di abbracciare nostro padre».

Ultimi giorni in carcere. Lo vedranno sabato per una delle ultime giornate che passerà in carcere. L’avvocato presenterà immediatamente la richiesta di scarcerazione, poi affronterà il processo e in aula ci saranno anche i figli dell’imputato che, a differenza della prima volta, lo scagioneranno. «Siamo stati costretti ad accusarlo – prosegue Gabriele, ripetendo quelle parole che dirà anche in tribunale –. Un bambino non ha gli strumenti per sottrarsi a certe pressioni. Nostra madre mi diceva sempre che ci avrebbe abbandonato se non l’avessimo accusato, ma non ci ha mai fatto nulla. Io l’ho sempre difeso e ho cercato in tutti i modi di rifiutarmi ».

La separazione. Il processo di primo grado segna però uno spartiacque. Padre e figli sono obbligati a stare lontano. I bambini crescono in comunità dove rimarranno rispettivamente cinque e nove anni. Usciranno quando saranno maggiorenni, ma saranno passati dieci anni senza che abbiano avuto la possibilità di vedere il loro genitore. Poi tutto si ricompone. «Ci siamo ritrovati grazie a Facebook e nostro padre sapeva perfettamente che non abbiamo mai smesso di amarlo. Dal canto suo ha affrontato la condanna da innocente in maniera più serena perché sapeva che non era colpa nostra». Così, dopo la condanna definitiva Gabriele e Miche hanno deciso che il momento di dire la verità era arrivato. «Non l’hanno fatto i giudici, è toccato a noi – conclude Gabriele De Sario – ed è stato anche il modo migliore per cancellare il rimorso che avevamo dentro». Vittime e innocenti a loro volta.

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