La Nuova Sardegna

Oristano

L’arcivescovo Sanna: onestà nella gestione del bene comune

di Mario Girau
L’arcivescovo Sanna: onestà nella gestione del bene comune

Lo sguardo del capo della Chiesa Arborense sulla comunità Come è cambiato il territorio della Diocesi in questi 10 anni

26 aprile 2016
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ORISTANO. Dieci anni in prima linea e su vari fronti. Una visita pastorale, un sinodo, 10 lettere pastorali alla diocesi, 24 pubblicazioni, 5 libri per l'editrice Studium, decine di convegni e articoli, una relazione all'Assemblea generale dell'episcopato italiano, incontri con docenti e studenti di tutte le Facoltà Teologiche italiane e degli Istituti di Scienze religiose. Con un impegno fisso, irrinunciabile: ogni settimana immergersi nelle realtà parrocchiali, nelle comunità piccole e grandi della Chiesa arborense. Una storia iniziata il 22 aprile 2006 quando Benedetto XVI ha nominato monsignor Ignazio Sanna, arcivescovo di Oristano.

Dieci anni fa terminava la vita da teologo. Iniziava la teologia della vita. Lei dice di sentire la voce di Dio nella voce di tante persone.

«Negli anni di insegnamento della teologia dalla cattedra della Lateranense ho svolto il compito di spiegare la Parola di Dio e di proporla come luce e guida della vita cristiana. Nei dieci anni di ministero episcopale, invece, ho imparato ad ascoltare la voce di Dio trasmessami dalle gioie, le sofferenze, le fatiche di tante persone. Sono rimasto spesso edificato dai molti esempi di testimonianza evangelica, che mi hanno dato conforto e ispirazione».

Un passaggio che ha comportato difficoltà personali, di adattamento?

«La prima difficoltà è stato il cambio di ritmo di lavoro. Ho sentito la forte differenza tra la regolarità delle giornate di studio e delle attività accademiche e la complessità dei problemi di carattere pastorale e amministrativo. Il rapporto con studenti e colleghi era bello ma quasi di routine. Il rapporto con la nuova realtà sociale ed ecclesiale, invece, è stato ricco di imprevisti, di novità, una scuola dove ho imparato ad apprezzare la fantasia dello Spirito».

Nostalgia per il tempo passato nella ricerca?

«Certo. Nel primo anno di ministero oristanese ho avuto nostalgia dei frequenti viaggi che facevo per visitare i 32 Istituti Teologici collegati con l’università, per tenere conferenze nelle Diocesi, per partecipare a convegni di studio. Mi arricchiva molto il contatto con culture diverse. Respiravo un'aria di universalità anche nella pratica delle lingue straniere con gli studenti che provenivano dalle diverse parti del mondo».

Dal suo osservatorio, in questi 10 anni che cosa nell'Oristanese è cambiato in meglio e che cosa in peggio?

«Non è facile descrivere il cambiamento sociale e culturale del vasto territorio della Diocesi. Dal punto di vista demografico, si assiste ad un progressivo spopolamento. Dal punto di vista delle istituzioni si assiste alla fuga dello Stato da molti servizi essenziali, con gravi conseguenze a livello personale e sociale. Accanto a questi aspetti negativi, tuttavia, c'è l'aspetto positivo delle forme convinte di solidarietà sociale».

Nei suoi frequenti incontri con le autorità che cosa chiede con maggiore insistenza?

«Ovviamente non spetta a me, come vescovo, commentare il lavoro delle autorità istituzionali. Nelle valutazioni comuni della situazione sociale, però, ho sempre insistito nel sottolineare la necessità della trasparenza ed onestà nella gestione del bene comune, la lotta alla corruzione, l'attenzione alle nuove povertà e alla disoccupazione giovanile, la collaborazione tra comunità ecclesiale e comunità civile per creare condizioni di vita ordinata e sicura».

Lo stato di salute della Chiesa arborense non è ottimale. Una strada senza ritorno?

«Lo stato di salute della Chiesa arborense non è diverso da quello delle altre Chiese d'Italia. Ciò che, però, è proprio della nostra gente è la persistenza di uno zoccolo duro di religiosità popolare, che in qualche modo garantisce la conservazione della fede. Si può, infatti, seminare ancora il seme del vangelo in un terreno rimasto sensibile ai valori evangelici. Il mio motto è, perciò: “ottimisti ad oltranza per creare futuro”».

Lei vuole i laici corresponsabili nella comunità ecclesiale. Anche i suoi parroci?

«La situazione del clero diocesano richiede un maggiore promozione della ministerialità laicale nella vita della parrocchia. Ciò che ieri dovevamo fare per libera scelta oggi lo dobbiamo fare per necessità. Mi rendo conto che il cambiamento di mentalità è talvolta difficile. Ma non possiamo fermarci davanti alle resistenze o alle lentezze del cambiamento».

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