Spariti 179mila euro: consulente condannato
di Enrico Carta
I soldi gli erano stati affidati da un’amica, ma non erano mai tornati indietro Il mancato recupero del capitale gli è costato una pena a tre anni e undici mesi
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ORISTANO. I soldi erano finiti in paradiso. O meglio in un paradiso fiscale come la verde Svizzera che oltre ai prati è famosa per la sua intraprendenza bancaria. Il problema era far tornare quei soldi in Italia e ridare il gruzzolo alla legittima proprietaria. Il secondo problema è infatti che quei soldi hanno fatto il viaggio di sola andata e non hanno mai varcato il confine Svizzera-Italia col biglietto di ritorno in tasca. È così che una vedova è rimasta beffata dopo aver affidato tutti i suoi risparmi a un amico di famiglia che le aveva consigliato un investimento sicuro. Evidentemente non lo era oppure qualcosa si è inceppato durante il tentativo di far fruttare il tesoretto e così il consulente è finito sotto processo. Di più, se n’è andato dal processo con una condanna di tre anni e undici mesi per l’appropriazione indebita di 179mila euro, esattamente la stessa cifra che è chiamato a restituire come provvisionale, in attesa di capire nella causa civile a quanto ammonterà il risarcimento totale.
Quello di appropriazione indebita non era l’unico reato che il pubblico ministero Ivan Sanna contestava a Gian Paolo Rundini. Nel conto andava messa anche la circonvenzione d’incapace ed era il motivo per cui la richiesta di condanna era stata di sei anni e la condanna è stata di tre anni e undici mesi. La vicenda giudiziaria aveva preso origine dopo la denuncia della signora che aveva affidato i denari, ben più dei famosi trenta, all’amico fidato che si era anche presentato come esperto di investimenti. I soldi non solo non si erano moltiplicati come nella vicenda evangelica dei talenti, ma non erano mai tornati nelle casse della legittima proprietaria. È il motivo per cui la signora si è anche costituita parte civile assistita dall’avvocato Francesco Campanelli.
Responsabilità? L’imputato le ha negate tutte, sottoponendosi anche all’interrogatorio durante una delle ultime udienze. Ha spiegato di aver provato in ogni modo a far tornare indietro i soldi investiti in Italia, chiarendo quali siano le difficoltà a svolgere tale operazione attraverso la Svizzera e spiegando di non essere mai entrato in possesso della somma che la signora chiedeva indietro. Il problema sarebbe stato proprio quel confine che separa anche due mondi finanziari diversi, con regole economiche e fiscali molto differenti tra di loro.
È stata una spiegazione per cui l’avvocato difensore Roberto Martani aveva sollecitato l’assoluzione, ma non è stata una giustificazione che ha convinto la giudice Elisa Marras che ha deciso per la condanna.
Quello di appropriazione indebita non era l’unico reato che il pubblico ministero Ivan Sanna contestava a Gian Paolo Rundini. Nel conto andava messa anche la circonvenzione d’incapace ed era il motivo per cui la richiesta di condanna era stata di sei anni e la condanna è stata di tre anni e undici mesi. La vicenda giudiziaria aveva preso origine dopo la denuncia della signora che aveva affidato i denari, ben più dei famosi trenta, all’amico fidato che si era anche presentato come esperto di investimenti. I soldi non solo non si erano moltiplicati come nella vicenda evangelica dei talenti, ma non erano mai tornati nelle casse della legittima proprietaria. È il motivo per cui la signora si è anche costituita parte civile assistita dall’avvocato Francesco Campanelli.
Responsabilità? L’imputato le ha negate tutte, sottoponendosi anche all’interrogatorio durante una delle ultime udienze. Ha spiegato di aver provato in ogni modo a far tornare indietro i soldi investiti in Italia, chiarendo quali siano le difficoltà a svolgere tale operazione attraverso la Svizzera e spiegando di non essere mai entrato in possesso della somma che la signora chiedeva indietro. Il problema sarebbe stato proprio quel confine che separa anche due mondi finanziari diversi, con regole economiche e fiscali molto differenti tra di loro.
È stata una spiegazione per cui l’avvocato difensore Roberto Martani aveva sollecitato l’assoluzione, ma non è stata una giustificazione che ha convinto la giudice Elisa Marras che ha deciso per la condanna.