Incendio a Is Bangius, le opposte verità dei periti
di Michela Cuccu
L’incendio partì nell’estate del 2014 da una cabina Enel a Sant’Anna Le fiamme distrussero oltre dieci ettari di aree comunali e alcune aziende
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MARRUBIU. Non erano visibili da terra, le parti eventualmente usurate del “sezionatore” dell’Enel che a Bangius, secondo l’accusa. Per poterle vedere, una squadra di operai sarebbe dovuta salire in quota, magari, come si faceva in quegli anni, con l’elicottero oppure, come oggi si preferisce, utilizzando un drone. È l’unico punto sul quale convergone le relazioni presentate ieri mattina dai periti della procura, della difesa e di parte civile, al processo che vede imputati, Enrico Onnis, 54 anni di Mogoro, Carlo Spigarolo, comasco di 55 anni, e Silvio Ruggiero, cagliaritano di 50 anni. Quest’ultimo era responsabile della zona di Oristano per l’Enel, mentre i primi due erano rispettivamente il responsabile dell’unità operativa e il responsabile della distribuzione territoriale dell’energia elettrica per l’intera Sardegna. Ieri, davanti al giudice Monocratico Federica Fulgheri, hanno parlato i periti. Il primo è stato l’ingegner Paolo Marcialis, incaricato dalla rocura, che fra le altre cose, ha posto l’accento sulla presenza di vegetazione non tagliata, troppo vicina al palo dell’Enel dal quale, come riferirono diversi testimoni, quella notte (e tante altre volte) partirono delle scintille che, secondo l’accusa, furono la causa del rogo. Marcialis ha anche aggiunto che la termocamera, fatta installare per accertare eventuali anomalie, non fosse stata tarata e, particolare confermato anche dei periti della parte civile, non avrebbero potuto misurare con correttezza i picchi di temperatura. Diametralmente opposte invece, le conclusioni dei periti della difesa: il professor Fabrizio Pilo e dell’Università di Cagliari e il collega del Politecnico di Torino, Luca Marmo. Secondo i due ingegneri, l’impianto non aveva problemi di manutenzione. Infatti, prima di essere posto sotto sequestro dalla magistratura, continuò a funzionare ancora per altri nove mesi dopo l’incendio, con unica manutenzione la sostituzione di una vite con una fascetta di plastica. Secondo i periti della difesa, inoltre, la mancata taratura della termocamera non avrebbe viziato la misurazione delle temperature e lo sfalcio della vegetazione nelle vicinanze del palo elettrico non era obbligatorio, in base all’ordinanza anticendio. Insomma, secondo la difesa, l’incendio sarebbe partito da un’altra parte e ad alimentarlo sarebbe stato il forte vento che quella notte spazzava la zona.