La Nuova Sardegna

Oristano

Coronavirus, Oristano, un ex infermiere: «Non ho potuto dire addio a mia madre uccisa dal Covid»

di Michela Cuccu
Coronavirus, Oristano, un ex infermiere: «Non ho potuto dire addio a mia madre uccisa dal Covid»

Il drammatico racconto di Francesco Loglisci: è morta a Milano, è stata cremata in Friuli

17 aprile 2020
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ORISTANO. «L'ultima volta che ho incontrato mia madre è stato il 3 marzo. Il giorno dopo ci hanno comunicato che le visite dei parenti erano state sospese a causa dell'emergenza covid. Il coronavirus che venerdì scorso se l'è portata via, senza darci neanche la possibilità di salutarla per l'ultima volta». Arriva da Oristano la tragica testimonianza, della morte di una anziana in una storica rsa di Milano, la San Giuseppe. A raccontarla è il figlio, Francesco Loglisci, infermiere in pensione della Rianimazione del San Martino e del 118, molto conosciuto in città per il suo impegno politico e sindacale nello Slai-Cobas. «Mia madre, Angela Manfredi aveva 96 anni ed era lucidissima. Leggeva, parlava, non poteva più camminare a causa di due fratture al femore, ma le sue condizioni di salute erano buone». Francesco Loglisci è originario di Gravina di Puglia. La sua è una storia di emigrazione come tante: partito a Milano dove aveva trovato posto come infermiere.

Conosce una collega, sarda, emigrata anche lei. Si sposano e dopo qualche anno decidono di lasciare Milano per andare a vivere al paese di lei, Siamanna. A Milano restano le sorelle di Francesco, che di frequente lui andava a trovare, soprattutto da quando loro madre era ospite della rsa. Malgrado provato dal recente lutto, trova la forza di raccontare l'ultimo viaggio della madre, cremata l'altro ieri a Gemona, in Friuli perché a Milano il forno crematorio ha ormai una lista d’attesa infinita.

Quando la residenza per anziani comunica ai familiari che le visite erano state sospese, Francesco fa ritorno in Sardegna. «Quella comunicazione non ci stupì: eravamo perfettamente a conoscenza che la Lombardia fosse l'epicentro della diffusione del contagio e ho potuto osservare quanto poco fosse protetto il personale della Rsa – racconta – rarissime le mascherine e i presidi di protezione, arrivati con un ritardo non certo imputabile, a parer mio, della struttura. E poi i tamponi, fatti quando il covid aveva fatto già vittime fra gli ospiti. I contagi sono stati inevitabili in quella situazione». In una lettera, il 4 aprile, la direzione della Rsa comunica la sua verità ai familiari: «Nel corso del mese di marzo abbiamo purtroppo registrato 24 decessi (una persona con Covid accertato deceduta in Ospedale, 16 con sospetto Covid 19 decedute in struttura e 7 per altre cause». I contagi naturalmente hanno riguardato anche il personale. Scrive ancora l'Rsa: «Ci siamo quindi mossi, fra enormi difficoltà, nel tentativo di recuperare tutti i dispositivi di protezione. Oggi i nostri collaboratori sono dotati di tutte le protezioni che le norme e i regolamenti indicano necessari per la migliore prassi sanitaria. Il nostro organico è purtroppo oggi ridotto di circa il 50 per cento a causa di malattia che in parte è stata determinata da infezione da Covid19». Quattro giorni dopo, l'8 aprile, mentre l'azienda comunica di aver aderito alla proposta del'Ats lombarda di ospitare in un piano, ovviamente isolato, pazienti Covid dimessi dagli ospedali ormai senza più posti letto, avvertono i Loglisci che loro madre sta molto male. «Eravamo increduli: due giorni prima, grazie alla disponibilità di una Oss mia sorella aveva potuto vederla in videochiamata. Stava bene, non dava segni di malattia. Due giorni dopo, lei è morta, da sola, accompagnata dalla morfina che caritatevolmente il medico le aveva iniettato per calmarle i dolori. Ci hanno detto che è stato il Covid ad ucciderla».

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