La Nuova Sardegna

Oristano

il caso 

«Da eroi a quasi untori», l’amarezza degli infermieri

di Valentina Atzeni
«Da eroi a quasi untori», l’amarezza degli infermieri

ORISTANO. Il passo dall’essere definito eroe a passare per untore sembra essere ancora troppo breve. A descrivere la complicata situazione nella quale continua a vivere il personale sanitario è...

23 aprile 2020
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ORISTANO. Il passo dall’essere definito eroe a passare per untore sembra essere ancora troppo breve. A descrivere la complicata situazione nella quale continua a vivere il personale sanitario è Raffaele Secci, presidente dell’ordine provinciale delle professioni infermieristiche. Indignato per la sempre precaria stabilità della posizione della categoria rispetto all’opinione pubblica.

«L’atteggiamento da parte della gente comune mi rattrista molto – afferma Secci –. Ogni giorno noi infermieri insieme ai medici mettiamo a rischio la nostra vita, specie quando non abbiamo a disposizione i dispositivi di protezione individuale, come succedeva quotidianamente soprattutto nella prima parte dell’emergenza. Non ci siamo mai tirati indietro – continua – sebbene facendo sempre sentire la nostra voce di protesta».

Il malcontento dell’ordine provinciale scaturisce dalle parole di accusa che l’opinione pubblica ha espresso in calce ad alcuni articoli di stampa con i classici commenti sui social network riguardo alla positività al coronavirus di un infermiere dell’Assistenza domiciliare integrata. «Non voglio fare alcun tipo di paragone – specifica Raffaele Secci –, ma è vero che quando ad ammalarsi è un componente di categorie non sanitarie, come nel caso del vigile del fuoco del comando provinciale, si spendono solo parole di solidarietà. Se la malasorte si accanisce sul personale medico e infermieristico, scatta immediatamente la discriminazione e veniamo subito accusati di non aver svolto il nostro lavoro nel modo corretto. Troppo facile – aggiunge Raffaele Secci – chiamarci eroi quando si ha bisogno di cure e darci la caccia quando siamo noi ad ammalarci».

Chi si occupa di assistenza domiciliare svolge un compito ancora più delicato in un momento come questo, perché entrare nelle case dei pazienti comporta un rischio che si può contrastare solo muniti di tuta, guanti, mascherina e occhiali. Non è consentito alcun gesto automatico, come il semplice toccarsi il naso. «Alla fatica si aggiunge lo stress psicologico dovuto al carico di responsabilità –, racconta il presidente –. Non possiamo permetterci di sbagliare, i nostri movimenti sono calcolati proprio per mettere in sicurezza i pazienti e noi stessi». E aggiunge: «Vorremmo che la stessa solidarietà mostrata nei confronti di componenti di altre categorie, che oggi non rischiano quanto la nostra, venisse manifestata anche nei nostri confronti».

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