La Nuova Sardegna

Oristano

A rischio la “casa dei risvegli”

di Giuseppe Centore
A rischio la “casa dei risvegli”

Secondo la Regione beneficia di tariffe troppo alte. Consiglieri e deputati insorgono in sua difesa

14 maggio 2020
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ORISTANO. È il luogo della speranza, ma anche del dolore e della paura di non riuscire più a vivere. Il Santa Maria Bambina, di proprietà della fondazione Nostra Signora del Rimedio, emanazione diretta della Diocesi di Oristano, è tutto questo e molto di più. È il luogo a cui giungono pazienti gravissimi e i loro familiari da tutta la Sardegna. Un centro che in decenni ha conquistato il cuore e le menti dei sardi, e che adesso, a causa di una burocratica e complicatissima delibera della giunta Solinas, rischia di chiudere, o quantomeno di vedersi ridotti i fondi per le sue prestazioni. Oggi il centro, opera nella riabilitazione motoria e neurologica, ed è un unicum per l’isola. Il Santa Maria Bambina dal 2017 è anche accreditato dalla Regione per dieci posti letto dedicati alle persone in stato vegetativo o in minima coscienza; in pratica è la nostra piccola “casa dei risvegli” (come quella ben più conosciuta di Bologna). A questi speciali posti letto se ne aggiungono altri 45 di cosiddetta “riabilitazione globale a ciclo continuativo”. Un patrimonio di professionalità e conoscenza che rischia di disperdersi. E la ragione è sempre la stessa, i soldi.

La Regione, con una delibera del 26 febbraio di quest’anno ha ridefinito tutti i criteri per pagare le prestazioni di riabilitazione. Il risultato finale della delibera è il Santa Maria Bambina non potrà più eseguire le sue prestazioni perchè «le tariffe sinora erano alte, troppo alte, si potrebbe dire fuori scala», almeno così dicono ambienti vicini all’assessorato alla Sanità. L’assessore Nieddu, oggi interverrà in commissione sanità in consiglio regionale anche sulla clinica oristanese. Da quanto è dato sapere, difficilmente la delibera sarà ritirata, semmai si farà una eccezione per il Santa Maria Bambina, riconoscendo in qualche modo le prestazioni che gli altri centri di riabilitazione non effettuano; nessun declassamento, nessuna riconversione, ma, probabilmente, una soluzione per uscire dal vortice di polemiche scaturite dalla riclassificazione delle sue prestazioni si troverà. Le tariffe riconosciute dal servizio sanitario regionale sono una delle voci di entrata della Fondazione che gestisce la struttura. L’altra sono le donazioni, cospicue e diverse ogni anno, che consentono di abbattere i costi di gestione e di investire in strumenti e personale in continuazione, facendo del centro un esempio non solo per la Sardegna.

Il caso del Santa Maria Bambina continua a suscitare reazioni dalla politica. Dopo i Riformatori è la volta della deputata dei Cinque Stelle Mara Lapia che ha scritto al presidente Solinas e all’assessore Nieddu una lettera nella quale chiede che si trovi «cornice giuridica specifica, che metta al riparo la struttura dai tentativi di declassamento e costituisca un riconoscimento per l’attività ad elevato livello assistenziale che il Centro svolge. Con le delibere approvate a febbraio la giunta regionale ha deciso di dare un colpo mortale a realtà decennali della riabilitazione in Sardegna. Tra queste sicuramente il Centro Santa Maria Bambina riferimento regionale per l’assistenza e la riabilitazione per pazienti con patologie a grave rischio invalidante, gravi cerebrolesioni acquisite, vascolari o traumatiche. Non si può accettare – afferma la Lapia – che il Centro Santa Maria Bambina sia declassato: la sua storia, le professionalità in organico, la gamma delle prestazioni offerte finora, richiedono un riconoscimento formale ed una cornice giuridica specifica». Oggi la risposta di Nieddu.

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