La Nuova Sardegna

Oristano

Cannabis light, sequestri a raffica e scontro legale

di Enrico Carta
Cannabis light, sequestri a raffica e scontro legale

Il tribunale di Oristano dà ragione alla procura e conferma la linea dura: vietato separare i fiori dalla pianta

17 dicembre 2020
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ORISTANO. La procura incassa i primi successi dopo aver effettuato nei mesi scorsi numerosi sequestri della cosiddetta cannabis sativa o light. La linea di demarcazione tra reato e comportamento legittimo è molto sottile, ma i giudici del riesame hanno dato ragione all’azione portata avanti dai pubblici ministeri Andrea Chelo e Armando Mammone, sotto la supervisione del procuratore Ezio Domenico Basso che aveva ispirato una serie di azioni giudiziarie, le quali potrebbero segnare in maniera ancora più netta l’orientamento della giurisprudenza in questo particolare campo, termine con cui la lingua italiana consente di giocare.

Dove invece non si può scherzare è sui termini della questione giudiziaria, perché i guai sono dietro l’angolo, visto il tribunale di Oristano ha già dato ragione alla linea sostenuta dalla procura in più di un’occasione e bocciato quella delle difese degli indagati che si erano opposti ai sequestri più o meno corposi di quantitativi di cannabis sativa, che resta quindi sotto chiave.

Per chi non mastica il linguaggio delle aule giudiziarie, la questione può sembrare contorta, invece come spiega lo stesso procuratore Ezio Domenico Basso è alquanto semplice. L’iniziativa della procura è figlia di un precedente pronunciamento della Corte di Cassazione del maggio 2019. Vi si precisa che le autorizzazioni riguardano solo la coltivazione del prodotto, mentre non è contemplata l’estrazione e la commercializzazione di derivati che abbiano una funzione psicotropa e stupefacente. La Cassazione, fatta salva la quantità di principio attivo che non deve superare comunque un limite prestabilito, era andata oltre indicando poi quali attività siano lecite nell’ambito della commercializzazione della cannabis. È legale la produzione di alimenti e cosmetici, quella di semilavorati per forniture alle industrie, di concime, di materiale per la bioingegneria e la bioedilizia, di fitodepurazione, di didattica e ricerca e di florovivaismo, dove, si precisa, non può rientrare la cannabis sativa.

«In parole più semplici – spiega il procuratore – quella che viene chiamata sbocciolatura è un’attività illecita anche se il coltivatore è in regola con tutte le altre autorizzazioni. La sentenza della Cassazione a cui ci siamo ispirati e che gli stessi giudici hanno richiamato nelle motivazioni del riesame dice che questa azione deve essere considerata secondo il testo unico della legge sugli stupefacenti del 1990 e non con la norma che promuove la coltivazione di cannabis. Aggiungo che il problema non riguarda le aziende che trattano il prodotto e che sono in regola con le autorizzazioni, ma solamente i coltivatori. Questi non possono separare parti della pianta, la possono vendere intera a chi poi è autorizzato a commercializzarla. Non c’è alcuna volontà di mettersi contro un settore economico in crescita, c’è solo l’esigenza di far rispettare la legge e di ciò dovrebbero essere soddisfatti tutti coloro che agiscono correttamente».

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