La Nuova Sardegna

Oristano

Tratta di esseri umani: a Oristano condannati tre cinesi

Michela Cuccu
Tratta di esseri umani: a Oristano condannati tre cinesi

Ma sono da tempo irreperibili. Vennero arrestati dai carabinieri dieci anni fa Avevano organizzato un traffico di donne destinate anche alla prostituzione

30 aprile 2021
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ORISTANO. Erano finiti agli arresti domiciliari perché accusati di aver trasformato Oristano nella porta d’ingresso dell’immigrazione clandestina. Ieri, i giudici del tribunale di Oristano, hanno condannati a pene che vanno da 8 anni e quattro mesi a due anni e mezzo di carcere. Si tratta di tre cinesi che sette anni fa erano finiti ai domiciliari accusati di associazione a delinquere per aver favorito l’ingresso in Italia di almeno una trentina di loro connazionali.

In tarda mattinata, la presidente del collegio giudicante, Carla Altieri, ha letto le sentenze: la più severa, 8 anni e quattro mesi di carcere oltre al pagamento di 70 mila euro di ammenda, è stata inflitta a Xufei Yan, di 48 anni; 7 anni e mezzo di carcere e 36mila euro di multa per la sua compafgna, Dongxian Zhou (59 anni) e due anni e mezzo per la nipote, Ling Zou, di 36 anni. Pene appena più lievi di quelle sollecitate dal pm Valerio Bagattini. Ma pronunciate in un’aula semivuota: l’avvocata Manuela Cau, difensore d’ufficio, difficilmente potrà proporre di ricorrere in appello, dato che i suoi assistiti, ormai da anni si sono resi irreperibili. Si è chiusa così la tranche sarda dell’operazione “Dragone”, culminata nel 2011 con la denuncia di altre 23 persone: 16 cittadini cinesi e 7 italiani che avevano fatto da prestanome. Per favorire l’ingresso in Italia di immigrati, quasi tutte donne, provenienti dalla Cina, l’organizzazione gli procurava contratti di lavoro come colf o badanti. Ad assumerle, permettendo in questo modo l’ottenimento del permesso di soggiorno, erano dei pensionati, residenti a Oristano, nei centri della provincia e a Nuoro, quasi tutti ultrasettantenni che davano anche la disponibilità delle loro case per ospitare nei primi tempi i falsi domestici. Poco dopo il loro arrivo, infatti, ripartivano quasi sempre alla volta della Penisola per lavorare come operaie nel polo tessile di Prato. Durante l’indagine emersero che alcune delle immigrate venissero poi fatte prostituire. L’organizzazione si faceva pagare una commissione di 6 mila euro da ciascun connazionale sbarcato per la prima volta in Italia, cifra che raddoppiava se si trattava di un ricongiungimento con il coniuge. Un giro che fruttò all’organizzazione non meno di 60 mila euro. La stessa organizzazione si faceva carico poi di versare sia i contributi assicurativi che oscillavano tra i duecento e i trecento euro in base alle pensioni ricevute dai prestanome. Tutto fu però smascherato attraverso una serie di intercettazioni e dalle indagini coordinate dalle Procure di Oristano e svolte dai Carabinieri.

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