Mariella “la trasformista” condannata a otto anni
di Enrico Carta
La donna truffò un sacerdote per 175mila euro e poi gliene estorse altri 200mila Chiese soldi per riscattare un’eredità, poi usò travestimenti per intimidire il prete
29 ottobre 2021
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ORISTANO. Dopo aver fatto i conti dei soldi ricevuti, circa 375mila euro finiti probabilmente nelle gettoniere dei videopoker, la “trasformista” Mariella Ore dovrà contare sino a otto. Sono gli anni della condanna che la giudice per le udienze preliminari Federica Fulgheri ha inflitto all’imputata al termine del processo celebrato con il rito abbreviato. La 56enne di Bonarcado, accusata di aver truffato il sacerdote din Franco Porchedda e poi di avergli estorto altro denaro, di aver commesso dei falsi e di aver simulato identità di altre persone, può sperare in miglior sorte nel processo di appello, nell’attesa del quale eviterà di tornare in carcere.
Dietro le sbarre era finita nel 2020, quando i carabinieri conclusero le indagini nate proprio dalla denuncia del sacerdote che spiegò di essere stato dapprima raggirato e poi tenuto sotto scacco grazie a minacce o alle finte identità che l’imputata assumeva nelle sue numerose trasformazioni al telefono e addirittura di persona o falsificando documenti e facendogli credere che si trattasse di atti bancari da pagare al più presto per evitare guai ben peggiori.
Mariella Ore è stata anche condannata a pagare un iniziale risarcimento di 450mila euro, ma al momento non dispone di alcuna somma, come dimostra il fatto che, per la difesa affidata all’avvocatessa Federica Atzeni, ha avuto accesso al gratuito patrocinio per il processo.
Di quel fiume di soldi che era riuscita a ottenere sembra che nulla le sia rimasto in tasca per via della probabile ludopatia, che sarebbe stato anche il motivo per cui aveva orchestrato il piano per truffare il sacerdote. Si direbbe che era un piano ben studiato, visto che l’avrebbe utilizzato in altre occasioni, come proverebbe un ulteriore processo per una truffa da oltre mezzo milione a due persone di Paulilatino che avrebbe attuato con la medesima tecnica e le stesse argomentazioni.
In questo caso, secondo la ricostruzione del pubblico ministero Silvia Mascia che aveva sollecitato otto anni di condanna, Mariella Ore conosceva il sacerdote e da lui andò a chiedere 175mila euro, cifra che – così raccontò – le serviva per recuperare quattro milioni di eredità che altrimenti rischiava di perdere per via del divorzio. Aveva poi promesso di cointestare la somma al prete che si era reso disponibile a farle quel favore, ma dell’eredità non c’era traccia. Quando il sacerdote ebbe corrisposto la prima parte dei soldi, Mariella Ore giocò al rialzo e lo convinse a trovare altro denaro. Quest’ultimo, non sapendo più come trovare una via d’uscita, sperò che tutto finisse e si rivolse anche a parenti, amici e conoscenti per farsi aiutare nella raccolta del denaro. Quando disse che non avrebbe proseguito coi pagamenti, il rapporto si sarebbe trasformato in un ricatto, con il sacerdote che fu anche minacciato nella sua casa.
A riprendere la scena ci furono le telecamere, piazzate dai carabinieri che avevano raccolto la denuncia. Fu il momento in cui si decise di porre fine alle azioni di Mariella Ore. Al processo, dove il prete si è costituito parte civile assistito dall’avvocatessa Anna Maria Uras, la linea difensiva è stata molto chiara: il sacerdote non era certo uno sprovveduto e aveva tutti i mezzi culturali e intellettuali per capire che quella dell’eredità era solo una scusa e che non è credibile sia caduto nella trappola della truffa. Non è bastato per evitare la condanna o almeno vederla ridotta rispetto alle richieste dell’accusa.
Dietro le sbarre era finita nel 2020, quando i carabinieri conclusero le indagini nate proprio dalla denuncia del sacerdote che spiegò di essere stato dapprima raggirato e poi tenuto sotto scacco grazie a minacce o alle finte identità che l’imputata assumeva nelle sue numerose trasformazioni al telefono e addirittura di persona o falsificando documenti e facendogli credere che si trattasse di atti bancari da pagare al più presto per evitare guai ben peggiori.
Mariella Ore è stata anche condannata a pagare un iniziale risarcimento di 450mila euro, ma al momento non dispone di alcuna somma, come dimostra il fatto che, per la difesa affidata all’avvocatessa Federica Atzeni, ha avuto accesso al gratuito patrocinio per il processo.
Di quel fiume di soldi che era riuscita a ottenere sembra che nulla le sia rimasto in tasca per via della probabile ludopatia, che sarebbe stato anche il motivo per cui aveva orchestrato il piano per truffare il sacerdote. Si direbbe che era un piano ben studiato, visto che l’avrebbe utilizzato in altre occasioni, come proverebbe un ulteriore processo per una truffa da oltre mezzo milione a due persone di Paulilatino che avrebbe attuato con la medesima tecnica e le stesse argomentazioni.
In questo caso, secondo la ricostruzione del pubblico ministero Silvia Mascia che aveva sollecitato otto anni di condanna, Mariella Ore conosceva il sacerdote e da lui andò a chiedere 175mila euro, cifra che – così raccontò – le serviva per recuperare quattro milioni di eredità che altrimenti rischiava di perdere per via del divorzio. Aveva poi promesso di cointestare la somma al prete che si era reso disponibile a farle quel favore, ma dell’eredità non c’era traccia. Quando il sacerdote ebbe corrisposto la prima parte dei soldi, Mariella Ore giocò al rialzo e lo convinse a trovare altro denaro. Quest’ultimo, non sapendo più come trovare una via d’uscita, sperò che tutto finisse e si rivolse anche a parenti, amici e conoscenti per farsi aiutare nella raccolta del denaro. Quando disse che non avrebbe proseguito coi pagamenti, il rapporto si sarebbe trasformato in un ricatto, con il sacerdote che fu anche minacciato nella sua casa.
A riprendere la scena ci furono le telecamere, piazzate dai carabinieri che avevano raccolto la denuncia. Fu il momento in cui si decise di porre fine alle azioni di Mariella Ore. Al processo, dove il prete si è costituito parte civile assistito dall’avvocatessa Anna Maria Uras, la linea difensiva è stata molto chiara: il sacerdote non era certo uno sprovveduto e aveva tutti i mezzi culturali e intellettuali per capire che quella dell’eredità era solo una scusa e che non è credibile sia caduto nella trappola della truffa. Non è bastato per evitare la condanna o almeno vederla ridotta rispetto alle richieste dell’accusa.