Stagno di Cabras, individuati sul fondale 46 punti di interesse archeologico
La studiosa: «Abbiamo rinvenuto delle tracce di una possibile zona portuale molto antica»
Cabras La prima stagione di prospezione archeologica dello stagno, iniziata nell’ottobre 2024, si è conclusa in primavera e ha portato i primi importanti risultati: complessivamente sono stati individuati dagli esperti 46 punti di interesse, attualmente allo studio dell’università di Cagliari. Gli attori in campo nell’indagine, vale a dire, oltre alla Fondazione Mont’e Prama, che ha sviluppato il progetto in sinergia con la Soprintendenza, le Università di Cagliari e Sassari, l’università del Salento e il Politecnico di Torino, hanno illustrato il lavoro che è stato condotto nel corso della quarta e ultima serata del Festival dell’Archeologia.
«Tutti hanno portato un contributo metodologico importante in un territorio non facile, ricco di sfide – ha detto la professoressa Rita Auriemma, dell’università del Salento –. Ci troviamo di fronte, infatti, ad un paesaggio particolarmente dinamico, come le indagini hanno confermato: ci sono stati cambiamenti significativi e c’è una lunga durata di frequentazione dei siti». Ma quale approccio hanno adottato gli studiosi? «Innanzi tutto ci siamo mossi con approccio di sistema olistico con metodologie innovative – ha spiegato Rita Auriemma –. Siamo partiti dalla prospezione diretta in terra e in acqua, in una superficie complessa, dato che l’acqua dello stagno non consente alcuna visibilità. Abbiamo fatto dunque le sondinature e poi la prospezione strumentale. Sono stati utilizzati il Side Scan Sonar e il magnetometro, per la prospezione strumentale in acqua, dei sistemi che permettono di avere una percezione del fondale e di tutte le anomalie che vi si trovano». Tre le aree scelte per la prima stagione: «Vista la vastità dello stagno (2.200 ettari, ndc) ci siamo concentrati su tre zone, il tratto di costa dello stagno prospicente Mont’e Prama, Conca Illonis e la zona del cordone litoraneo che separa lo stagno dal mare, che ha rivelato insediamenti estesi e stratificati».
Prosegue la professoressa Auriemma: «Oltre alle prospezioni strumentali, il Politecnico di Torino, arrivato con una vera task force, ha utilizzato il rilievo fotogrammetrico attraverso droni e misurazioni a terra con il Global navigation satellite system, una sorta di Gps che fornisce una rete topografica perfettamente valida e misurata, capace di agganciare il rilievo fotogrammetrico dal drone a punti misurati sul territorio. Così abbiamo potuto definire meglio tutte le diverse anomalie individuate». I primi risultati appaiono già importanti: «Sono stati battuti 80 ettari di territorio liquido e terrestre, circa 58 ettari a terra e 22 in mare, individuati 46 punti di interesse, che comprendono siti archeologici e unità topografiche, anomalie morfologiche ed elementi funzionali, con evidenze sia lungo la costa dello stagno sia all’interno dei canali, le cui sponde, ricchissime di stratificazioni, ci parlano di un insediamento stratificato dall’ellenismo fino all’età tardo antico, che forse aveva un’area portuale importante, cerniera fra lo stagno e il golfo di Oristano, caratterizzato da un sistema di traffici. Lo indiziano le tracce archeologiche rinvenute, che indicano una feconda rete di rapporti transmediterranei. Ora saranno le prospezioni geofisiche e geomorfologiche condotte direttamente dall’università di Cagliari a dirci di più». Le ricerche nelle profondità dello stagno ripartiranno il prossimo autunno.